Dopo aver messo un tetto al debito degli enti locali, ora il governo cinese mette in rampa di lancio la riforma delle 150mila aziende pubbliche della Repubblica popolare. Lunedì l’esecutivo guidato dal presidente Xi Jinping, sotto pressione per il rallentamento della crescita economica e i tracolli borsistici degli ultimi due mesi, ha diffuso le linee guida dell’operazione. La novità principale è che verranno stimolati gli investimenti di privati, incentivando la cosiddetta “proprietà mista”. Il documento, scritto dal documento del Consiglio di Stato in coordinamento con il Comitato Centrale del Partito Comunista, prevede poi interventi per migliorare il governo societario e aumentare l’efficienza delle aziende statali, attive in settori che vanno dall’energia ai trasporti alle telecomunicazioni.
“Creeremo le condizioni per le imprese di proprietà statale per partecipare al mercato come attori indipendenti su un piano di parità”, ha detto Zhang Xiwu, vice presidente della Commissione di supervisione sugli asset statali del Consiglio di Stato. Che ha promesso “risultati decisivi” entro il 2020.
Le “State owned enterprises” sono uno dei pilastri dell’economia nazionale, danno lavoro a 30 milioni di dipendenti e hanno attivi per 15,69 miliardi di dollari. Ma nei primi sette mesi del 2015 hanno visto i profitti scendere del 2,3% su base annua. Secondo gli analisti interpellati dal Financial Times, è “improbabile che il governo rinunci al suo stretto controllo e alla sua presenza nelle Soe, specialmente in quelle che operano in settori importanti dal punto di vista strategico”. Una riforma efficace, però, potrebbe spingere l’economia in modo non indifferente: secondo uno studio di ricercatori legati al Consiglio di Stato il Pil potrebbe aumentare dello 0,33% l’anno per effetto della maggiore produttività. Possono sembrare briciole, per un Paese abituato a tassi di crescita a doppia cifra, ma occorre tener presente che le previsioni per quest’anno sono state tagliate e sono tutte inferiori al 7%.