La polizia cinese ha messo nel mirino tre finanziarie. L'industria del peer-to-peer è cresciuta rapidamente a causa della crisi di liquidità che ha colpito le piccole e medie imprese manifatturiere perché il credito ufficiale, quello erogato dalle banche di Stato, va quasi sempre alle grandi industrie pubbliche. Ma ora l'accumulazione di debiti è diventata insostenibile
La polizia cinese sta prendendo di mira tre società finanziarie specializzate in servizi di prestito peer-to-peer a Shenzhen, città divenuta capitale non ufficiale di questo business. A riportarlo è l’accreditata rivista economico-finanziaria Caixin, secondo cui l’operazione si allargherà probabilmente ad altre società. Alcuni dipendenti delle tre imprese, RJS Investment, gx1996.com e doujind.com, che gestiscono siti web attraverso cui piccoli creditori e debitori si incontrano, sono stati arrestati negli ultimi giorni. Non è chiaro quali reati siano loro imputati, ma fonti della polizia cinese parlano per due di loro di “depositi ricevuti illegalmente dal pubblico”, mentre si ignorano i motivi che giustificano l’inchiesta sulla terza.
L’industria di prestito P2P è cresciuta rapidamente in Cina negli ultimi anni, grazie al vuoto normativo e a causa della crisi di liquidità in cui sono incorse molte piccole e medie imprese manifatturiere. A partire dalla crisi finanziaria globale, gli ordini dall’estero si sono ridotti e i produttori di merci a basso valore aggiunto – dagli accendini ai tostapane – hanno incassato un duro colpo. A complicare il tutto, il fatto che il credito ufficiale, quello erogato dalle banche di Stato, va quasi sempre alle grandi industrie pubbliche, i conglomerati che a seconda dei punti di vista sono i campioni della Cina nel mondo o un ricettacolo di spreco e corruzione.
Così, per tirare avanti, i piccoli produttori devono per forza di cose ricorrere al cosiddetto “credito ombra”, cioè, di fatto, ai prestiti che gli imprenditori più fortunati fanno a quelli che lo sono meno. Ed ecco quindi i siti P2P, il tipico servizio che compare just-in-time: dietro a una piccola trattenuta sulle transazioni, le piattaforme online facilitano l’incontro tra chi ha i soldi e chi li cerca. A Shenzhen si calcola che siano domiciliate circa 600 di queste società, su un totale di 2mila nell’intera Cina. È stato calcolato che da quando si è cominciato a raccogliere i dati, pochi anni fa, il credito online abbia movimentato circa 93 miliardi di yuan, un terzo del totale nazionale.
Oltre a sfuggire ai controlli, il sistema non fa però che procrastinare i problemi strutturali dell’economia cinese: piccole imprese fuori mercato stanno in piedi accumulando debiti che, a un certo punto, il loro titolare non è più in grado di pagare, anche per via dei tassi d’interesse piuttosto alti che circolano nel circuito dello “shadow banking”. A questo punto subentra però il perverso e diffuso retropensiero per cui, a salvare capra e cavoli, ci deve pensare lo Stato – il governo locale o direttamente Pechino – appianando il debito di intere comunità e distretti industriali. Altrimenti è destabilizzazione, è emergenza, è l’ordine celeste che va sottosopra.
Ebbene, di recente il governo centrale ha cercato di far capire che così non può più funzionare e, pur con parsimonia e cautela, ha lasciato fallire un po’ di imprese. Il giro di vite attuale può essere anche inteso come il segnale che d’ora in poi gli occhi sono puntati su chi sguazza in un sistema totalmente deregolato. Circa un anno e mezzo fa, diverse finanziarie P2P erano andate in bancarotta e alcuni analisti avevano stimato che tra l’80 e il 90 per cento di queste agenzie potesse fallire a causa dei crediti inesigibili. A questo punto è intervenuto il governo centrale, elaborando un disegno di legge la cui prima bozza risale addirittura al 2012, ma che è proprio in questi giorni alle battute finali.
In base alle indiscrezioni, le transazioni online effettuate attraverso “terze parti” – cioè i siti P2P – avranno un tetto di 5mila yuan al giorno per coloro la cui identità non può essere verificata da certificati digitali e dalla firma elettronica. Un’altra norma che cambierebbe le regole del gioco è quella per cui le aziende “terze parti” non potranno gestire conti di deposito appartenenti a società di crowdfunding, fondi di investimento e altri servizi finanziari, che dovrebbero invece aprire un conto bancario tradizionale. Queste norme dovrebbero nelle intenzioni mettere fuori gioco il sottobosco deregolato dei prestiti online e preservare al contempo l’attività di credito delle grandi imprese IT, come Alibaba e Tencent.
di Gabriele Battaglia