È giusto che si scelga il modo in cui finire il corso della propria vita, qualora ci si trovasse a fare la guerra contro una malattia terminale? Si può parlare di diritto a morire bene?
Venerdi la Gran Bretagna ha risposto negativamente a queste domande votando No alla legalizzazione della morte assistita. 330 i voti contrari e 118 quelli favorevoli. La Camera dei Comuni ha clamorosamente respinto il disegno di legge che avrebbe consentito agli adulti, con meno di sei mesi di vita, il diritto di chiedere aiuto medico per porre fine alla propria esistenza sotto la supervisione medica. Il disegno di legge si ispirava all’attuale legge sulla morte assistita dell’Oregon, criticata dai contrari all’eutanasia, secondo i quali da quando nello stato americano è presente quella legge sono troppo frequenti i suicidi assistiti.
Tra le tante cose che ho letto in questi giorni, mi hanno colpito le parole dell’ex ministro conservatore Caroline Spelman che, rappresentando la Chiesa d’Inghilterra alla Camera dei Comuni, ha detto che “il disegno di legge mette in discussione il rispetto per la vita, perché la vita è un dono di Dio con tutto ciò che comporta tra cui dolore e la sofferenza”.
Mi chiedo perché sia necessario sopportare il dolore quando c’è la possibilità di morire bene, senza soffrire. Credo possa essere confortante e rendere l’individuo più sereno nella sua lotta con la malattia sapere di poter scegliere una morte dignitosa. Una possibilità che dovrebbe essere autonoma e libera.
E mentre la Gran Bretagna ha detto no alla morte medicalmente assistita, in Canada invece è stato recentemente abolito il divieto a praticarla. La California è diventato l’11 settembre il quinto stato americano a consentire l’eutanasia, e la Germania discuterà presto un progetto di legge a riguardo. Alcuni paesi del nord dell’Europa hanno già delle leggi sulla morte medicalmente assistita. E in Italia? Due anni fa l’Associazione Luca Coscioni, insieme ad altre associazioni, depositò alla Camera dei deputati una proposta di legge di iniziativa popolare sottoscritta da circa settantamila cittadini italiani, ai quali si sono aggiunti poi oltre trentamila firmatari via Internet. Il 16 settembre si riuniranno i parlamentari di ogni schieramento per formare un intergruppo per la legalizzazione dell’eutanasia e del testamento biologico.
Ad oggi soltanto una manciata di paesi autorizza la morte assistita da un medico, ma in molti altri sono in corso casi giudiziari ed iniziative elettorali. Questa estate anche l’Economist si era schierato a favore dell’eutanasia con un articolo dal titolo “The right to die” (il diritto di morire).
È un argomento molto controverso ed è il grande dilemma del nostro tempo. Tanti sono i critici. Perché porre fine alla vita è sbagliata. Perché questa è sacra. Nonostante il dolore insopportabile o le condizioni dei malati disumane. Questa idea rischia però di portare ad una situazione in cui l’eutanasia clandestina aumenterà.
Spesso chi è a favore della buona morte vuole essere sicuro che se dovesse trovarsi in condizioni di inabilità, verrà aiutato a morire senza dolore. Non si tratta di scegliere tra la morte e la vita, ma tra la morte e l’agonia. Una decisione complicata quando i pazienti sono i bambini. Difficile dover scegliere per chi non è in grado di farlo. Ma forse anche a loro, di fronte alla prospettiva di una malattia terminale, dolorosa, e la conseguente morte imminente, dovrebbe essere risparmiato ulteriore dolore.
I medici dovrebbero poter aiutare i malati terminali a morire quando lo desiderano. Perché chi segue questa strada lo fa motivato dalla sofferenza, e dalla voglia di preservare la propria dignità. Una strada e una scelta che tra l’altro non danneggia nessun altro individuo ma soltanto il soggetto in fin di vita. Che vuole essere sollevato dal dolore ed avere il controllo sulla propria morte.