La Caduta Degli Dei può essere una lunga, elaborata e aristocratica cena, raccontata con eleganza formale come nel film di Luchino Visconti, o un improvviso precipitare degli eventi con la squadra che mai, nell’era del padre padrone Roman Abramovich, aveva fatto così male, come nel caso dell’inizio di stagione di José Mourinho. Il Chelsea oggi è in piena zona retrocessione, con soli 4 punti in 5 partite, frutto di 1 vittoria, 1 pareggio e 3 sconfitte, e 12 gol subiti a fronte dei 7 fatti. Una partenza così brutta non si vedeva da metà anni ’80, quando il club del sudovest londinese era una piccola squadretta di quartiere e non certo la superpotenza economica di un oligarca russo. E dopo che sabato lo scozzese Steven Naismith, simbolo del calcio working class, ha affondato con un tripletta la corazzata dei Blues il cui valore della rosa supera i 530 milioni, la screpolatura è diventata una voragine. E sul banco degli imputati è salito José Mourinho.
Da sempre la caratteristica del tecnico portoghese è stata quella di porsi davanti ai suoi giocatori nei momenti bui, per attirare su di sé le critiche e proteggere la squadra, ma davanti alla prima vera crisi di gioco e risultati della sua carriera, anche lo Special One comincia a vacillare. “I risultati sono pessimi e non si confanno al mio status e alle mie qualità, ma non mi sento sotto pressione”, “Sono l’uomo giusto per il Chelsea”, “Quest’anno non retrocederemo”, “La squadra non ha demeritato”, “Stamattina in allenamento si è rotto anche il computer”, sono solo alcune delle frasi pronunciate da Mourinho dopo la sconfitta di sabato con l’Everton. Parole che dietro la consueta autostima ai limiti dell’arroganza denotano confusione, perdita di controllo. Nemmeno nella stagione 2007-08, quando il portoghese si dimise dal Chelsea a settembre, dopo un pari in Champions con il Rosenborg e in piena polemica con Abramovich, la situazione era così disperata.
Il Chelsea ha perso 4 delle ultime 7 partite in Premier. Prima ne aveva perse 4 in 44 partite. In queste 7 partite ha subito 16 gol, più di quanti presi nell’intera stagione 2004-05, quella che rivelò al grande pubblico le doti del condottiero lusitano dopo i fantastici anni del Porto. C’è un problema in difesa quindi, sottolineato dalla sostituzione all’intervallo del totem John Terry nella partita persa con il Wba, e dallo sfibrante inseguimento a suon di milioni (ne sono stati offerti fino a 50!) del giovane difensore dell’Everton John Stones: un buon prospetto che non vale tutti questi soldi, e che ha messo a nudo l’incapacità di tecnico e dirigenza di rinnovare la squadra che aveva vinto lo scorso anno. Prima ancora, nell’esordio stagionale con lo Swansea, c’era stato l’affaire Eva Carneiro, accusata da Mourinho davanti alle telecamere di poca professionalità per giustificare il pareggio interno del Chelsea.
Da lì è esploso un caso – la Carneiro non ha ancora rimesso piede al centro d’allenamento del Chelsea – che al di là della possibili ripercussioni giudiziarie, con la dottoressa che ha minacciato una milionaria causa civile, ha già avuto pesanti contraccolpi mediatici. Le accuse sparse sui media, di sessismo e di svalutare professionalmente un collaboratore per difendere sé stesso, il malessere delle compagne dei calciatori che avrebbero (giustamente) chiesto scuse e precisazioni mai arrivate, creando malumore nello spogliatoio. E così, ecco che con la barca che affonda le falle si sono aperte anche nei muri fino a prima impenetrabili del centro tecnico di Cobham: Terry contro Mourinho, Mourinho contro Diego Costa, Oscar e Hazard scontenti della tattica, Falcao del poco impiego. Si è sgretolato insomma quel patto di ferro tra allenatore e spogliatoio, quella comunione d’intenti militaresca del “soli contro tutti”, che Mourinho era sempre riuscito a costruire nelle sue squadre. I quotidiani inglesi danno al tecnico portoghese due partite per invertire la rotta o essere cacciato. La caduta degli dei nel caso avverrebbe senza alcuna eleganza, formale e sostanziale.