Mentre in Italia infuriano le polemiche sul rinvio della flessibilità in uscita dal lavoro e sullo “scippo” dei fondi per la salvaguardia degli esodati, la Cina ha scelto il sistema pensionistico e di assistenza sociale della Penisola come modello per migliorare il proprio welfare. Non è una boutade: a dirlo è il presidente dell’Inps Tito Boeri, che in un’intervista a Il Sole 24 Ore spiega di essere a Pechino per il lancio del progetto cofinanziato da Ue e Cina sulla riforma della protezione sociale cinese di cui l’ente italiano è capofila.

La Repubblica popolare userà come punto di riferimento non solo la struttura per la raccolta dei contributi e il pagamento degli assegni previdenziali, ma anche l‘Indicatore della situazione economica equivalente (Isee), lo strumento che misura la condizione economica delle famiglie e viene usato per decidere se hanno diritto a agevolazioni e prestazioni sociali. Nonostante le critiche alla nuova versione dell’Isee, introdotta a partire dall’1 gennaio, Boeri lo considera infatti “un fiore all’occhiello che risponde alla necessità di selezionare la platea dei beneficiari”.

L’Eu-China social protection reform project, che viene lanciato proprio in questi giorni, vede al fianco di Pechino l’Italia, il Belgio, la Francia, la Repubblica ceca, la Polonia, la Romania e la Spagna. Il progetto durerà quattro anni e mira a riformare il welfare statale centralizzando la gestione dell’assistenza come prevede la New insurance law varata nel 2010. “I cinesi hanno un sistema pensionistico in evoluzione, che si va progressivamente ampliando per raggiungere platee più vaste”, spiega l’economista e cofondatore de lavoce.info. “La copertura dei lavoratori nel settore urbano è cresciuta moltissimo e sta arrivando al 60%, nelle zone rurali invece è ancora molto, molto bassa”.

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