Anziché limitarsi a sviluppare un intervento condotto con lo strumento militare, è stata sdoganata la cooperazione con consulenti esterni allo scopo di pianificare e valutare una serie di operazioni delicate che sviluppino linee d’azione in ogni ambito dell’area di crisi
Non solo soldati e droni, ma comunicatori, analisti politici ed economici, videooperatori e sociologi per decrittare scenari e proporre soluzioni nelle aree di crisi. La Nato cambia pelle e introduce nel proprio processo di pianificazione il concetto di Knowledge Development. Anziché limitarsi a sviluppare un intervento condotto con lo strumento militare, ora chiama per consulenze ed analisi anche civili, allo scopo di pianificare e valutare una serie di operazioni delicate, che contemplino non soltanto l’uso della forza ma sviluppino linee d’azione in ogni ambito caratterizzante l’area di crisi.
Il concetto del Knowledge Development, o Full Spectrum Approach deciso dal summit di Lisbona del 2010, nasce dall’adozione da parte della Nato del più ampio concetto del Comprehensive Approach e “si prefigge lo scopo di ottenere una conoscenza olistica e multifunzionale dell’area rilevante per la gestione della crisi – spiega al fattoquotidiano.it il Generale di Corpo d’Armata Riccardo Marchiò, Comandante di Nrdc-Ita -, analizzando la dimensione umana sotto il profilo politico, economico, sociale, delle informazioni e delle infrastrutture, in aggiunta alla classica analisi dell’ambiente militare”.
La novità risiede nell’interazione civile-militare che punta allo scambio di informazioni “che è l’innovazione che più di qualsiasi altra rappresenta la reale implementazione del concetto del Comprehensive Approach. Ciò rende possibile un’efficace ed efficiente analisi dell’ambiente operativo” per consentire una serie di vantaggi: essere consapevoli dei possibili effetti che le azioni politiche, economiche, militari e civili possano avere sui diversi sistemi della dimensione umana; individuare le azioni più efficaci da adottare per raggiungere gli effetti desiderati.
Il cambio di strategia è stato deciso all’indomani delle missioni nei Balcani ed in Afghanistan, quando la Nato ha compreso che lo strumento militare da solo non era in grado di assicurare soluzioni non solo ai conflitti in corso ma soprattutto alle moderne crisi internazionali. Per cui è passata la teoria che per avere successo era di fondamentale importanza adottare un nuovo sistema con il coinvolgimento integrato delle componenti civile e militare. Social network, conoscenza dei media, capacità di rapportarsi con i nuovi cittadini 2.0: l’aggiornamento da parte dei militari punta anche sull’uso dei nuovi strumenti per creare, consolidare e incrementare il consenso della popolazione. “Per questo – aggiunge il Generale Marchiò – Nrdc-Ita ha nei suoi ranghi figure professionali apparentemente atipiche per un`unità operativa dell`Esercito, come specialisti di internet e comunicazione, fotografi, operatori di ripresa e specialisti del montaggio video, oltre ad avere nelle sue disponibilità gli equipaggiamenti necessari a creare prodotti per i media tradizionali ed i new media”.
Ma come è stato vissuto questo passaggio epocale fra gli addetti ai lavori? Secondo il Tenente Colonnello Antonio Romano, dal 2012 nel Nato Rapid Deployable Corps Italy, dove si è dedicato allo studio del Knowledge Development, la Nato ha “imboccato la strada giusta affinché l’implementazione dei concetti del Comprehensive Approach e del Knowledge Development possano contribuire fattivamente alla gestione delle crisi internazionali”. L’interazione tra attori civili e militari, a diversi livelli e per diverse ragioni coinvolti nella gestione della crisi, non è oggi “una scelta ma una reale necessità per fronteggiare la sempre crescente complessità dei moderni scenari internazionali e, allo stesso tempo, compensare le sempre maggiori scarsità in termini di risorse economiche ed umane”.
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