
Ho tra le mani un piccolo gioiello: pochi versi, pobabilmente inediti, scritti sulla pagina strappata di un foglio di quaderno a righe, intitolati Victoria.
“Cuando me mates / muerte / tu te habiás evaporado / para siempre / yo / saltaré sobre mi cuerpo / y seguiré viviendo” (Quando mi ucciderai / morte / tu evaporerai / per sempre / io /
salterò sul mio corpo / e continuerò a vivere).
Sono versi – di un’incredibile energia e lucidità – della poetessa nicaraguense Claribel Alegría.
Me li ha dati lei stessa, a Granada, sulle sponde del lago Nicaragua anni fa, prima dell’inizio di una delle tante letture del Festival di poesia a cui partecipavamo entrambi, dove poi li ha recitati a memoria. Me li diede a scopo apotropaico: avevo la morte che mi danzava intorno. Li presi come si prende un salvacondotto. Non hanno scongiurato quella morte certo, ma come fa sempre la grande poesia, l’hanno resa comprensibile o comunque meno insensata.
Non so se Claribel questi versi li abbia poi pubblicati; so che li aveva appena scritti, quel pomeriggio, e che con la sua solita entusiasta generosità me li regalò per mettere la mia anima un po’ al riparo dal dolore. Se dopo anni di gelosa riservatezza, li tiro fuori oggi, è per festeggiare la pubblicazione in italiano della sua ultima raccolta, Voci (Samuele editore, prefazione di Zingonia Zingone) ben tre anni dopo Alterità (Incontri editrice, 2012).
Ma c’è anche un’altra ragione del mio proporli qui ed è che questo Voci, come sottolinea Zingone nella sua efficace Prefazione, è una sorta di testamento di Alegría: giunta ormai alla soglia dei novant’anni, la poetessa centroamericana prova a fare i conti con il tempo e dunque – anche se non c’è – quella breve poesiola avrebbe probabilmente ben potuto farne parte.
Nata poeticamente sotto l’ala di Juan Ramón Jiménez alla fine degli anni ’40, Claribel è, imho (in my humble opinion, ndr), la più grande poetessa nicaraguense vivente ed è probabilmente una delle più grandi autrici in lingua spagnola del secondo Novecento.
La sua è una sentimentalità complessa, mai disponibile ad affidarsi fiduciosa al comodo abbraccio dell’io, quanto disponibile a disegnare sensazioni e situazioni a partire da un dialogo (con il lettore e con un io altro), da un’interrogazione del reale e delle sue transazioni emotive e sociali.
E se è certamente il marito, lo scrittore americano D. J. Flakoll, ad essere il primo e il più frequentato interlocutore, specialmente dal momento della sua morte (“Cómo me duele el tacto / Cuando extiendo mi brazo / Y no te encuentro” – Come mi duole il tatto / Quando allungando il braccio / Non ti trovo – scrive di lui in Soltando amarras, una raccolta del 2002) questo fitto discutere di Claribel si estende a molti, fin alle cose e agli elementi naturali, sempre gestito con un’immensa cura della ‘forma’, con un’essenzialità asciugata sino all’inverosimile, con un ritmo, apparentemente esile, ma che invece poi marcia con sicurezza trascinando il lettore senza scampo.
Il clarilegro l’ha definito un’altra grande poetessa del Nicaragua, Gioconda Belli. Ed è questo anche l’abito formale con il quale, rifuggendo ogni retorica, Claribel ha vissuto il suo essere parte della cosiddetta Generación comprometida, quella dei poeti e dei letterati che aderirono al sogno (poi tristemente naufragato) della rivoluzione sandinista in Nicaragua. Della Rivoluzione a Claribel interessa, però, soprattutto quanto attiene alla sorte degli uomini e delle donne, delle loro emozioni, la sua capacità di essere – brechtianamente – gentilezza, di risvegliare sensazioni e utopie, sogni apparentemente sepolti.
Quella di Alegría voleva essere una Rivoluzione gentile, fragile, fondata sulla nostra debolezza, prima ancora che sulla nostra forza e sulla nostra rabbia. Questo bisogno di dialogità, di “scambio” è un paradosso, a ben vedere, per un’autrice che a questa sua ultima fatica ha deciso di porre in esergo il Pessoa che suggerisce: “Essere poeta non è la mia ambizione. È la mia maniera di stare solo”. Ma solo coloro i quali sanno dialogare con se stessi riescono davvero a comunicare con quella parte degli altri che poi diventa nostra. E dunque, il titolo di quest’ultima raccolta assume un’evidenza chiara anche a livello di dichiarazione di poetica: la voce del poeta non è mai solo la sua voce, ma proprio la sua capacità di essere anche la voce dell’altro: le molte voci che popolano la nostra vita.
Se da una parte Voci non fa che riconfermare aspetti formali e tematiche già care ed use (“continuerò a cercarti / a pronunciare il tuo nome / fin quando arriverà quel giorno / in cui io stessa / sarò il tuo segnale”, dice ripensando a Flakoll), per altro verso il suo essere “estremo” apre scenari nuovi, mostra pieghe, rende la forma non meno “polita”, ma certo più tagliente, tesa, senza perdere d’intensità (Non smette la mia mente / di ammucchiare rifiuti / che invadono me / la mia poesia / il mio universo / e non mi lasciano / prendere sonno / (…) / È ora di emigrare / confondermi con la terra / e dissolvermi»).
Perché è l’intensità, la capacità – limando – di non perdere forza né ricchezza, il segreto di questa poesia. Ecco – per questa ragione – mia diletta Claribel, oggi ti restituisco quel tuo prezioso regalo autografo.
Ma non contro la morte – che tu ed io sappiamo bene che i poeti non muoiono mai, e meno che mai la poesia – piuttosto come simbolo apotropaico per augurarti, una volta ancora: cento di questi libri, amica mia, cento di queste intensità!
Lello Voce
Poeta
Cultura - 15 Settembre 2015
Poesia: Claribel Alegría, tutte le voci dell’intensità
Ho tra le mani un piccolo gioiello: pochi versi, pobabilmente inediti, scritti sulla pagina strappata di un foglio di quaderno a righe, intitolati Victoria.
“Cuando me mates / muerte / tu te habiás evaporado / para siempre / yo / saltaré sobre mi cuerpo / y seguiré viviendo” (Quando mi ucciderai / morte / tu evaporerai / per sempre / io /
salterò sul mio corpo / e continuerò a vivere).
Sono versi – di un’incredibile energia e lucidità – della poetessa nicaraguense Claribel Alegría.
Me li ha dati lei stessa, a Granada, sulle sponde del lago Nicaragua anni fa, prima dell’inizio di una delle tante letture del Festival di poesia a cui partecipavamo entrambi, dove poi li ha recitati a memoria. Me li diede a scopo apotropaico: avevo la morte che mi danzava intorno. Li presi come si prende un salvacondotto. Non hanno scongiurato quella morte certo, ma come fa sempre la grande poesia, l’hanno resa comprensibile o comunque meno insensata.
Non so se Claribel questi versi li abbia poi pubblicati; so che li aveva appena scritti, quel pomeriggio, e che con la sua solita entusiasta generosità me li regalò per mettere la mia anima un po’ al riparo dal dolore. Se dopo anni di gelosa riservatezza, li tiro fuori oggi, è per festeggiare la pubblicazione in italiano della sua ultima raccolta, Voci (Samuele editore, prefazione di Zingonia Zingone) ben tre anni dopo Alterità (Incontri editrice, 2012).
Ma c’è anche un’altra ragione del mio proporli qui ed è che questo Voci, come sottolinea Zingone nella sua efficace Prefazione, è una sorta di testamento di Alegría: giunta ormai alla soglia dei novant’anni, la poetessa centroamericana prova a fare i conti con il tempo e dunque – anche se non c’è – quella breve poesiola avrebbe probabilmente ben potuto farne parte.
Nata poeticamente sotto l’ala di Juan Ramón Jiménez alla fine degli anni ’40, Claribel è, imho (in my humble opinion, ndr), la più grande poetessa nicaraguense vivente ed è probabilmente una delle più grandi autrici in lingua spagnola del secondo Novecento.
La sua è una sentimentalità complessa, mai disponibile ad affidarsi fiduciosa al comodo abbraccio dell’io, quanto disponibile a disegnare sensazioni e situazioni a partire da un dialogo (con il lettore e con un io altro), da un’interrogazione del reale e delle sue transazioni emotive e sociali.
E se è certamente il marito, lo scrittore americano D. J. Flakoll, ad essere il primo e il più frequentato interlocutore, specialmente dal momento della sua morte (“Cómo me duele el tacto / Cuando extiendo mi brazo / Y no te encuentro” – Come mi duole il tatto / Quando allungando il braccio / Non ti trovo – scrive di lui in Soltando amarras, una raccolta del 2002) questo fitto discutere di Claribel si estende a molti, fin alle cose e agli elementi naturali, sempre gestito con un’immensa cura della ‘forma’, con un’essenzialità asciugata sino all’inverosimile, con un ritmo, apparentemente esile, ma che invece poi marcia con sicurezza trascinando il lettore senza scampo.
Il clarilegro l’ha definito un’altra grande poetessa del Nicaragua, Gioconda Belli. Ed è questo anche l’abito formale con il quale, rifuggendo ogni retorica, Claribel ha vissuto il suo essere parte della cosiddetta Generación comprometida, quella dei poeti e dei letterati che aderirono al sogno (poi tristemente naufragato) della rivoluzione sandinista in Nicaragua. Della Rivoluzione a Claribel interessa, però, soprattutto quanto attiene alla sorte degli uomini e delle donne, delle loro emozioni, la sua capacità di essere – brechtianamente – gentilezza, di risvegliare sensazioni e utopie, sogni apparentemente sepolti.
Quella di Alegría voleva essere una Rivoluzione gentile, fragile, fondata sulla nostra debolezza, prima ancora che sulla nostra forza e sulla nostra rabbia. Questo bisogno di dialogità, di “scambio” è un paradosso, a ben vedere, per un’autrice che a questa sua ultima fatica ha deciso di porre in esergo il Pessoa che suggerisce: “Essere poeta non è la mia ambizione. È la mia maniera di stare solo”. Ma solo coloro i quali sanno dialogare con se stessi riescono davvero a comunicare con quella parte degli altri che poi diventa nostra. E dunque, il titolo di quest’ultima raccolta assume un’evidenza chiara anche a livello di dichiarazione di poetica: la voce del poeta non è mai solo la sua voce, ma proprio la sua capacità di essere anche la voce dell’altro: le molte voci che popolano la nostra vita.
Se da una parte Voci non fa che riconfermare aspetti formali e tematiche già care ed use (“continuerò a cercarti / a pronunciare il tuo nome / fin quando arriverà quel giorno / in cui io stessa / sarò il tuo segnale”, dice ripensando a Flakoll), per altro verso il suo essere “estremo” apre scenari nuovi, mostra pieghe, rende la forma non meno “polita”, ma certo più tagliente, tesa, senza perdere d’intensità (Non smette la mia mente / di ammucchiare rifiuti / che invadono me / la mia poesia / il mio universo / e non mi lasciano / prendere sonno / (…) / È ora di emigrare / confondermi con la terra / e dissolvermi»).
Perché è l’intensità, la capacità – limando – di non perdere forza né ricchezza, il segreto di questa poesia. Ecco – per questa ragione – mia diletta Claribel, oggi ti restituisco quel tuo prezioso regalo autografo.
Ma non contro la morte – che tu ed io sappiamo bene che i poeti non muoiono mai, e meno che mai la poesia – piuttosto come simbolo apotropaico per augurarti, una volta ancora: cento di questi libri, amica mia, cento di queste intensità!
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Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Standing ovation dalla platea della convention Cpac a Washington al termine dell'intervento video della premier Giorgia Meloni. Un intervento nel quale la presidente del Consiglio ha richiamato valori e temi che uniscono conservatori europei e americani, a partire dalla difesa dei confini, ribadendo la solidità del legame tra Usa e Ue. "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno".
"So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta. Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente", ha affermato la premier.
La presidente Meloni ha fatto un passaggio sull'Ucraina ribadendo "la brutale aggressione" subito dal popolo ucraino e confidando nella collaborazione con gli Usa per raggiungere una "pace giusta e duratura" che, ha sottolineato, "può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Le "elite di sinistra" si sono "recentemente indignate per il discorso di JD Vance a Monaco in cui il vicepresidente ha giustamente affermato che prima di discutere di sicurezza, dobbiamo sapere cosa stiamo difendendo. Non stava parlando di tariffe o bilance commerciali su cui ognuno difenderà i propri interessi preservando la nostra amicizia". Mo ha sottolineato la premier Giorgia Meloni nel suo intervento al Cpac.
"Il vicepresidente Vance stava discutendo di identità, democrazia, libertà di parola. In breve, il ruolo storico e la missione dell'Europa. Molti hanno finto di essere indignati, invocando l'orgoglio europeo contro un americano che osa farci la predica. Ma lasciate che ve lo dica io, da persona orgogliosa di essere europea - ha detto ancora - Innanzitutto, se coloro che si sono indignati avessero mostrato lo stesso orgoglio quando l'Europa ha perso la sua autonomia strategica, legando la sua economia a regimi autocratici, o quando i confini europei e il nostro stile di vita sono stati minacciati dall'immigrazione illegale di massa, ora vivremmo in un'Europa più forte".
(Adnkronos) - "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno. So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta".
"Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "So che con Donald Trump alla guida degli Stati Uniti, non vedremo mai più il disastro che abbiamo visto in Afghanistan quattro anni fa. Quindi sicurezza delle frontiere, sicurezza delle frontiere, sicurezza energetica, sicurezza economica, sicurezza alimentare, difesa e sicurezza nazionale per una semplice ragione. Se non sei sicuro, non sei libero". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "C'è una crescente consapevolezza. C'è una crescente consapevolezza in Europa che la sicurezza è ora la massima priorità. Non puoi difendere la tua libertà se non hai i mezzi o il coraggio per farlo. La felicità dipende dalla libertà e la libertà dipende dal coraggio. Lo abbiamo dimostrato quando abbiamo fermato le invasioni, conquistato le nostre indipendenze e rovesciato i dittatori". Così la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
"E lo abbiamo fatto insieme negli ultimi tre anni in Ucraina, dove un popolo orgoglioso combatte per la propria libertà contro un'aggressione brutale. E dobbiamo continuare oggi a lavorare insieme per una pace giusta e duratura. Una pace che può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - In Ucraina "un popolo coraggioso combatte contro una brutale aggressione". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "I nostri avversari sperano che Trump si allontani da noi. Io lo conosco, e scommetto che dimostreremo che si sbagliano. Qualcuno può vedere l'Europa come distante, lontana. Io vi dico: non è così". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio alla convention Cpac a Washington.