Anche il procuratore antimafia Franco Roberti la pensa come Rosy Bindi. Anzi il capo della dna fa sue le tanto contestate parole della parlamentare dem. “Io stesso ho definito già in passato la camorra elemento costitutivo della società napoletana: e se proseguiamo con i negazionismi non possiamo certo combatterla”, ha detto l’ex procuratore antimafia a Salerno e a Napoli, chiudendo in pratica una polemica velenosa che riavvolge il nastro della storia indietro di almeno trent’anni. Una polemica che, a ben vedere, riesplode periodicamente nel nostro Paese, con interpreti diversi che, però, recitano lo stesso copione: negare l’estremo collegamento tra le associazioni criminali e la società italiana. Questa volta il pomo della discordia è rappresentato dalle dichiarazioni rilasciate alla stampa da Rosy Bindi, presidente della commissione Antimafia, che in questi giorni è in trasferta a Napoli per una serie di audizioni sull’ondata di violenza che ha recentemente colpito la città.
“La camorra è un dato costitutivo di Napoli”, aveva detto parlamentare del Pd, suscitando attacchi violenti da più parti: dal sindaco partenopeo Luigi De Magistris al governatore campano Vincenzo De Luca. ”Sono saltato sulla sedia quando ho sentito quella frase che non condivido per nulla: la cultura, la storia, il teatro l’umanità sono l’elemento costitutivo di Napoli della Regione e del mezzogiorno” è stata la replica dell’ex pm che dal 2011 alla guida della città partenopea. Più diretta la replica di De Luca, che già in passato aveva attaccato violentemente la presidente della commissione Antimafia ai tempi della polemica sugli impresentabili (“le farò ingoiare tutto” aveva detto) e che adesso bolla le parole della Bindi come “un’offesa sconcertante a Napoli ed a tutti i nostri concittadini”.
Ma a sostenere la tesi della presidente di San Macuto arrivano adesso le parole di Roberti. “Io stesso ho definito già in passato la camorra elemento costitutivo della società napoletana. Se non guardiamo in faccia questa realtà, se proseguiamo con i negazionismi, non possiamo approntare interventi strutturali per combatterla. Come si fa a negare che le mafie siano elemento costitutivo della società da cui hanno avuto origine e poi si sono diramate?”, ha detto il magistrato audito proprio dall’Antimafia.
“Il contrasto alle mafie, a tutte le mafie – ha proseguito il procuratore – ha sempre avuto un andamento emergenziale: le mafie sono state contrastate a mio avviso esclusivamente come problema di ordine pubblico solo nel momento in cui si riteneva che quella attività potesse attentare all’ordine pubblico e alle istituzioni. E’ avvenuto anche per la camorra e per la mafia siciliana: si è proseguito, anche dopo la strage di Capaci, senza mai guardare in faccia alla realtà delle organizzazioni mafiose; non possiamo contrapporre una visione da paradiso terrestre di Napoli. Nessuno nega storia e arte di Napoli, ma se l’atteggiamento è consolatorio, se si dice che è solo la terra di Croce e Vico, dobbiamo riconoscere che a questa Napoli si contrappone quella camorrista che ancora domina in tante zone. Guardare in faccia la realtà è precondizione per poter articolare interventi per davvero operare un superamento”.
E non è un caso se Roberti ha collegato la “visione da paradiso terrestre” e “l’atteggiamento consolatorio” ai tentativi di ridimensionare la lotta alle associazioni criminali. La polemica delle mafie come elementi costitutivi della società infatti non nasce certo con le affermazioni della Bindi ma affonda la sua origine tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, praticamente poco dopo l’inizio della lotta alle associazioni criminali. È nei corridoi del palazzo di giustizia di Palermo che per la prima volta si contesta violentemente quell’affermazione: la mafia come elemento della società.
Sono gli anni in cui Giovanni Falcone inizia per primo ad indagari sulle imprese economiche e sulle loro connessioni con i clan che già da più parti si accusa il giudice istruttore di voler distruggere l’economia dell’isola. “Ma cosa credete di fare all’ufficio istruzione? La devi smettere Chinnici di fare indagini nelle banche, così rovini tutta l’economia siciliana …”, sono diktati che Rocco Chinnici riceve e appunta diligentemente nei suoi diari. O ancora “A quel Falcone, caricalo di processi, così farà come ogni giudice istruttore: non farà più niente”. Polemiche simili a quelle mosse dieci anni dopo al poll antimafia di Gian Carlo Caselli, reo di voler portare a processo i legami tra clan e politici (uno su tutti: Giulio Andreotti) e poi ancora alla fine della prima decade degli anni duemila, quando le rivelazioni di Gaspare Spatuzza fanno riaprire le indagini sulla strage di via D’Amelio e l’allora premier Silvio Berlusconi reagisce con fastidio a quei tentativi d’indagine su quelle che lui chiama “vecchie storie”.
Davanti ai commissari dell’Antimafia, il procuratore Roberti però ha allargato il senso del suo discorso. “La corruzione è mai stata combattuta in Italia? Mai. Il corruttore è sempre stato visto come un furbo, come l’evasore fiscale“. Per Roberti esiste un nesso fondamentale tra associazioni criminali e corruzione. “L’indagine su Mafia Roma dimostra come la corruzione si è quasi sostituita all’intimidazione mafiosa, è diventata strumento di infiltrazione”. Il magistrato ha poi avvertito: “Nonostante la lotta senza quartiere le organizzazioni mafiose sono forti in tutto il mondo”. Come è stato possibile? “Per la globalizzazione certamente – ha proseguito Roberti- ma anche per la vulnerabilità delle istituzioni e per effetto della disattenzione a quelli che sono gli elementi che concorrono alla crescita del potere”.