Meno di un cappuccino a settimana. E altrettanto rendono gli stadi Rosi e Giannattasio. Che il Campidoglio ha dato in concessione alla federazione di atletica e ai suoi eventi sponsorizzati. "Ma senza un solo euro per il Campidoglio" denuncia il consigliere Daniele Frongia, M5S. Le cause? Morosità e mancati aggiornamenti delle concessioni e dei canoni di affitto delle 160 strutture che fanno capo al municipio
Quanto paga per l’affitto, sul libero mercato di Roma, un negozio in centro? “Non meno di 5 mila euro al mese“. E quanto costa, invece, un intero impianto sportivo del Comune, magari sotto i pini della Roma più antica? “Solo 4 euro e 31 centesimi“. Tenetevi forte. Lo stadio di Caracalla, impianto di atletica che sorge in uno dei posti più belli del mondo, rende alle casse del Campidoglio la stratosferica somma di 51,76 euro l’anno. Meno di un cappuccino (senza cornetto!) alla settimana. “E altrettanto rendono gli stadi Rosi e Giannattasio, che il comune ha dato in concessione il 10 giugno 2013 allo stesso “cliente” di Caracalla, la Federazione italiana di atletica leggera“. Parola di Daniele Frongia, M5S, presidente della Commissione per la riforma e la razionalizzazione della spesa di Roma Capitale, che finora ha censito sprechi per 1.001 milioni l’anno.
Ecco, ben 25 riguardano la singolare gestione degli impianti sportivi, di cui Caracalla è un perfetto esempio. Le cause? “Mancato aggiornamento delle concessioni, mancato adeguamento dei canoni di affitto, mancato controllo sugli investimenti realizzati dai concessionari” e, dulcis in fundo, “morosità di buona parte degli affittuari“, spiega Frongia, che ha già segnalato al sindaco Ignazio Marino l’urgenza di aggiornare i canoni e programmare i nuovi affidamenti, visto che il 41 per cento delle concessioni è scaduto o è in scadenza nel 2015. Risultati? “Nessuno. La concessione “temporanea” di Caracalla, scaduta nel 2014 e prorogata fino al 30 giugno 2015, è scaduta un’altra volta e all’orizzonte non si intravvede nessuna gara per trovare un successore alla Fidal. Come al solito, e in tutta fretta, all’ultimo momento si opterà per la proroga. Sempre a 51 euro e 76 centesimi l’anno”.
In teoria, il patrimonio sportivo di Roma capitale è una ricchezza unica, con 160 impianti che vanno dalle piscine ai campi di bocce, dalle piste di atletica ai campi di calcetto, compresi pezzi pregiatissimi come l’ippodromo di Capannelle, la piscina Aquaniene, o, per l’appunto, lo stadio di Caracalla. Ma da anni la gestione pratica è un disastro, e il rapido avvicendamento di ben tre assessori allo Sport nella giunta di Ignazio Marino (Luca Pancalli, Paolo Masini e, da un mese, Giovanna Marinelli) nonché i repentini cambi dei dirigenti del relativo dipartimento (ben tre in un mese!) non ha finora permesso di metterci mano. Dice Frongia, allargando le braccia: «Se le casse comunali languono tanto da costringere il governo al terzo decreto “Salva Roma”, è anche perché le varie giunte di centrodestra e di centrosinistra hanno gettato al vento decine di milioni di euro, agevolando più di una società opaca e più di un operatore furbetto”.
In effetti, basta studiare il sito di Roma Capitale per capire che qualcosa non funziona. Il grosso delle concessioni in corso (con relativi canoni da scandalo) risale all’epoca di Walter Veltroni sindaco, tra il 2005 e il 2007, ma anche Gianni Alemanno non è rimasto indietro, visto che nel 2013, prima di andarsene, ha rinnovato a pioggia i contratti. Marino finora non ha battuto un colpo. E il caos al dipartimento dello sport è sempre di casa; in 6 contratti su 10 la data di avvio delle concessioni è anteriore alla data di stipula. Come non citare il caso limite dell’A.S.D. Pescatori di Ostia, il cui contratto, come si evince dalla convenzione (153,90 euro al mese per l’impianto di via dei Brigantini), risale al 2012 con decorrenza a partire dal 2005, ben sette anni prima della firma, e scadenza prevista nel 2011? Appena firmata, la concessione era già scaduta da un anno e aveva bisogno di una proroga “temporanea”…
E questo è ancora nulla. La durata massima di una concessione del Campidoglio, come da regolamento, è di 30 anni. Eppure “ci sono impianti per il cui affidamento non risulta che siano state bandite gare pubbliche da più di mezzo secolo, come per il Bowling Brunswick“, denuncia il blogger Angelo Diario, collaboratore dei Cinque Stelle capitolini e “analista” delle concessioni di Roma Capitale. Il Brunswick è il tempio del bowling romano, aperto nel lontano 1963 grazie alla generosa concessione che il Campidoglio ha firmato con la Brunit srl. Oggi conta 24 piste, una quarantina di monitor pubblicitari e in più, come pubblicizza orgogliosamente il sito sociale, vanta un campo da minigolf, un american bar, un ristorante, una pizzeria con forno a legna, un fast food, un pro-shop e una sala slot. Organizza feste private e meeting aziendali. E, dalle 23 del sabato sera, funziona anche con musica e animazione. Insomma, è una vera macchina da soldi e tale rimarrà fino al 31 dicembre 2023, anno di scadenza dell’ennesima proroga (13 anni) firmata dal comune in epoca Alemanno. Ma quanto rende al Campidoglio questa bella macchina? Una bazzecola, rispetto agli incassi: un «corrispettivo annuo nella forma di “canone concordato” di euro 85.233,60” pagabile, secondo il contratto, in comode rate di 7.102,80 euro al mese.
Impianti (e costi) pubblici, guadagni privati. A Roma sembra la regola. Torniamo al famoso stadio da 4 euro e 31 centesimi al mese, Caracalla, dove la Fidal ospita eventi sponsorizzati da marchi internazionali come Samsung, Nissan e Kinder. Chi intasca quei soldi? “Non ci risulta che nelle casse del Comune questi eventi abbiano portato un solo euro”, scuote la testa Frongia. Ma c’è un caso ancora più eclatante: l’ippodromo di Capannelle. Concessione firmata nel 2004, in epoca Veltroni, e affitto fissato in 2,1 milioni di euro l’anno da pagarsi, come previsto dal disciplinare, in «rate mensili anticipate di euro 174.884” l’una. L’ affitto, secondo i calcoli dell’onorevole M5S Giuseppe L’Abbate, non è stato praticamente onorato, visto che la società Gestione Capannelle spa (poi diventata Hippogroup) avrebbe maturato un debito col Campidoglio “pari a circa euro 10.621.531,79 alla data del 9 settembre 2011 e, nei confronti del commissario di Roma capitale, pari a circa 3.600.000 dal primo novembre 2004 al 31 dicembre 2011”.
Ma chi li vedrà più, quei soldini? Nel 2011, in sede di concordato preventivo, l’amministrazione Alemanno ha gentilmente ridotto del 50 per cento quel debito stratosferico. Poi nel 2013, ha ulteriormente ridotto il canone all’inquilino in difficoltà, facendogli uno sconto del 97 per cento. Dai 2,1 milioni iniziali siamo scesi così agli attuali 66 mila euro l’anno. “Stiamo parlando di un affitto di 5.500 euro al mese, che a Roma è il canone medio per un grande negozio“, calcola Frongia. “Per questa cifra irrisoria il comune praticamente regala ai privati l’uso di un ippodromo di 140 ettari, tra i più grandi d’Europa». Complimenti per l’affarone. Per dirla con L’Abbate, che sulla vicenda ha anche presentato interrogazioni parlamentari, “da risorsa, l’ippodromo delle Capannelle si è trasformato in un salasso per le casse comunali e statali». Un salasso che sconfina nella presa in giro. Perché Capannelle non solo gode di aiuti del ministero dell’Agricoltura a sostegno delle gare di trotto (immeritatamente, secondo L’Abbate: la struttura è sprovvista dei servizi “richiesti e necessari” per il trotto) ma è anche l’unico ippodromo in Europa che ospita una ricca stagione di concerti, Rock In Roma, che richiama migliaia di spettatori e vanta artisti di appeal internazionale, dai Green Day ai Radiohead, da Bruce Springsteen ai Linkin Park.
Anche qui ci sono sponsor e partner in abbondanza, a partire da Poste Italiane e Firestone, Visa e Renault. “Ma di tutti gli introiti di Rock In Roma, al Campidoglio sembrano arrivare solo le briciole. Come al solito”, ironizza Frongia. “Secondo l’amministrazione capitolina, le cosiddette attività collaterali all’ippica hanno reso alle casse comunali, nel 2013, soltanto 12mila euro. E per un solo evento”. Che strano. L’anno 2013 è stato proprio l’anno dei Green Day, e di Zucchero, di Bruce Springsteen e dei Deep Purple, per un totale di 20 concerti e 220mila spettatori. Come mai così pochi soldi? “Sarebbe interessante capirlo. Forse qualcuno, qui, sta facendo il furbo?”. Probabile. Ma di certo non si tratta del Campidoglio.