“I personal computer non sono molto presenti nelle scuole italiane come nel resto dei paesi dell’Oecd…In Italia c’è un computer ogni 15 alunni, solo il 66,8% degli alunni dichiara di usarlo a scuola”.
Queste alcune delle “sentenze” emesse nella recente pubblicazione dei risultati del Programma Pisa (Programme for International Student Assessment) dell’Oecd di Parigi, The Organisation for Economic Co-operation and Development che promuove una ricerca triennale, basata sulla valutazione del sistema educativo di 65 paesi, attraverso la verifica delle competenze e conoscenze di un campione nazionale di alunni di 15 anni.
Nella pubblicazione si può anche leggere, a puro scopo consolatorio, che “i risultati mediocri degli studenti italiani ai test Pisa sono comunque vicini alla media.” Più interessante è invece sapere che “gli studenti italiani sono bravi nella lettura, meno bravi nella ricerca di contenuti digitali”, riflessione che riporta l’attenzione al solito dibattito, l’introduzione a scuola dei nuovi strumenti tecnologici e l’uso che se ne vuole fare.
Non ci sono dubbi sul fatto che a scuola debbano essere introdotte nuove risorse digitali (Pc, tablet o Lim), molti, invece, ce ne sono rispetto al come debbano essere usate.
Se possono facilitare la didattica, che ben vengano; di contro, risultano inutili se sono usate come dei costosissimi libri e/o servono solo a spendere soldi (europei o non) per appaltare delle forniture di materiali, tra l’altro caratterizzati da una veloce obsolescenza.
E’ noto che gli studenti italiani arrivino a scuola già edotti, attraverso il gruppo dei pari o efficace auto-formazione, sui nuovi strumenti multimediali, il problema è quindi un altro, come usare tali strumenti per facilitare l’apprendimento, o più prosaicamente, come imparare a usare internet per fare i compiti. La risposta data nella ricerca è molto semplice: imparando a pianificare e realizzare una ricerca online, a valutare le informazioni inutili e verificare la credibilità delle fonti. La ricerca sembra dimostrare che questo non venga fatto in Italia (e non solo), infatti, si legge “In generale i paesi che hanno investito in Itc non hanno avuto degli apprezzabili miglioramenti nella lettura, in matematica e scienze negli ultimi 10 anni.”
Ma si legge anche che Corea, Hong Kong-China, Giappone, Canada and Shanghai-China, Australia, Singapore e Stati Uniti, sono gli stati nei quali gli studenti hanno raggiunto i migliori risultati nei test somministrati e, non a caso, sono quelli che hanno dei programmi ad hoc di media education che vertono, ad esempio, sulle “web browsing skills” come oggetto di studio. Va bene comprare i pc a scuola, ma c’è bisogno di personale che sappia integrarli nel contesto scolastico, anche fisicamente, si è infatti notato un migliore uso del pc nelle scuole che l’hanno collocato in classe, a differenza di quelle che hanno realizzato aule multimediali.
Ma di certo non basta questo, c’è bisogno dell’integrazione con la didattica. La scuola ha un curriculum digitale? Gli insegnanti sono formati su come usare le risorse digitali per facilitare l’apprendimento degli alunni? Su come favorire il lavoro di gruppo, la cooperazione, conoscono metodologie di educazione non formale? Il ministero prevede l’aggiornamento periodico su questi aspetti o solo corsi di “Ctrl+Alt e Canc”?
Altro aspetto interessante, l’analisi dei dati in base alle differenze socio-economiche.
Pare che non ci siano differenze quantitative di accesso alle nuove tecnologie ed internet tra studenti “normali” e studenti “svantaggiati” (sorvoliamo, solo per mancanza di tempo, sulla costruzione di tale categoria, pari al 25% del campione totale). Diversa è invece la qualità dell’uso che viene fatto del tempo online, in sintesi, gli studenti “non svantaggiati” accedono alle risorse digitali, soprattutto a informazioni di diversa natura (salute, economia e competenze varie), con lo scopo principale di “migliorare la propria situazione personale” e riservano un tempo marginale agli aspetti ludici (rapporto che sembra essere invertito nei coetanei svantaggiati).
In conclusione.
Qualche mese fa ci chiedevamo se la Buona Scuola prevedesse l’intervento sulla didattica 2.0. La risposta, che oggi possiamo dare chiaramente, è che la questione, al momento, non sembra essere prioritaria.
Il preside è ancora bloccato alla versione 1,0, ancora impelagato (chissà per quanto) in appalti, nomine e concorsi, il passaggio al 2.0 avverrà, si spera, in futuro.