C’è qualcosa che suscita francamente ribrezzo nella reazione sdegnata di molti politici e di alcuni intellettuali campani all’analisi del presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi. Dire che la camorra è “un elemento costitutivo della società napoletana” non è un’offesa, ma la semplice affermazione di una verità. Esattamente come lo è dire che la corruzione e il familismo amorale sono tra i fondamenti della società italiana, o che la ‘ndrangheta condiziona quella calabrese e che Cosa Nostra è alla base di moltissime fortune economiche e politiche siciliane.

Ovviamente a Napoli (come in Italia) i cittadini onesti sono la maggioranza. Ma spesso a vincere e comandare, non solo in campo politico, sono coloro i quali hanno trovato modo di convivere o accordarsi con i clan. Il sindaco Luigi de Magistris, invece che “saltare sulla sedia”, avrebbe quindi fatto miglior figura se avesse risposto: sì è vero, e infatti io, la mia giunta e i tanti che ci hanno votato, combattiamo ogni giorno una dura battaglia per la legalità.

Combatterla, lo diciamo per inciso, non significa vincerla, ma vuol dire operare concretamente per cambiare le cose. Vuol dire cercare di strappare quotidianamente metri quadrati di terreno alle organizzazioni criminali che a Napoli, come in altre città italiane, controllano molti quartieri. E sopratutto vuol dire non negare mai, con ipocriti distinguo, il problema. Ma visto che de Magistris, come è logico che sia, oggi pensa alla sua rielezione, ha preferito battere la strada più semplice: la difesa piccolo borghese del buon nome della sua metropoli. Ma questa, a parere di chi scrive, è una strada sbagliata.

Anche il governatore Vincenzo De Luca ha perso un’occasione per tacere. Definire “un’offesa sconcertante” le parole della Bindi, identiche a quelle del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, lascia sempre più dubitare della sua ostentata volontà di cambiare verso alla regione. De Luca però, a differenza di de Magistris, ha qualche giustificazione in più. Per vincere le elezioni non ha esitato ad allearsi con i alcuni cosentiniani, molti trasformisti e persino con un personaggio come l’ex Udeur Tommaso Barbato, dal 2014 indagato per voto di scambio e poi arrestato per fatti di camorra. Sperare quindi che abbandonasse i suoi modi di fare da guappo di cartone (De Luca con la criminalità organizzata non c’entra, ma per motivi da indagare psicologicamente ama ricalcarne pubblicamente gli atteggiamenti strafottenti) era decisamente un po’ troppo.

Poco male, comunque. L’analisi di Rosy Bindi, seguita da quella del magistrato campano Roberti, hanno ottenuto almeno un importante effetto positivo: hanno riportato la questione camorra sui media nazionali. Cosa che non accade, salvo eccezioni, nemmeno quando a Napoli si spara e si muore.

L’esperienza ci ha insegnato che per combattere le mafie (e le tangenti) non bastano le indagini, i processi o le buone amministrazioni. Di clan (e di mazzette) bisogna parlare. Sempre e di più. Per questo tanti giornalisti di piccole testate locali in Italia vengono minacciati o subiscono attentati. Per questo domani, con la scusa della privacy, verrà limitata la possibilità di pubblicazione le intercettazioni telefoniche. Anche se non basta distruggere il termometro per guarire dalla febbre.

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