Roma è il “porto franco degli appalti”. Dove in quattro anni l’87 per cento dei lavori non ha visto gara pubblica. E dove sono stati affidati a occhi chiusi 2,9 miliardi di euro che equivalgono alla metà della spesa totale.

E’ quanto emerge dal report degli ispettori dell’Autorità Nazionale Anticorruzione che hanno passato ai Raggi X la gestione del Campidoglio tra il 2011 e il 2014. Ne esce una radiografia impietosa sulle amministrazioni guidate da Gianni Alemanno e Ignazio Marino, entrambe coinvolte in Mafia Capitale. Le conclusioni della relazione consegnata lo scorso 7 agosto al presidente Raffaele Cantone sono state inviate al sindaco Marino e al prefetto Franco Gabrielli, perché valutino le iniziative di rispettiva competenza, alla Procura della Repubblica (Dda) e alla Procura della Corte dei conti per gli eventuali, ulteriori accertamenti. E sono state pubblicate in prima pagina dal Corriere della Sera. Dopo che il Fatto Quotidiano ha scoperto una lettera inviata da Cantone al procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone depositata nelle carte dell’inchiesta “Mondo di Mezzo”. Il capo dell’Autorità Anticorruzione nella missiva segnala che gli uffici della disciolta Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici, poi confluita nell’Anac, avevano denunciato al Comune tutto quello che non andava negli affidamenti senza gara alle coopsociali. La segnalazione risaliva al 2010, ma nulla era accaduto.

L’analisi degli ispettori dell’Anac “ha reso di palese evidenza il massiccio e indiscriminato ricorso a procedura non a evidenza pubblica in grado di assorbire di fatto, in termini quantitativi, quasi il 90 per cento delle procedure espletate. Per un valore complessivo pari al 43 per cento degli appalti affidati: ciò significa che poco meno della metà dei lavori e dei servizi assegnati a Roma e pagati con denaro pubblico sono stati attribuiti attraverso trattative private, scegliendo di fatto i beneficiari”. Gli uomini di Cantone hanno osservato che il “generalizzato e indiscriminato” utilizzo delle procedure negoziate in alternativa alle gare pubbliche è “in palese difformità e contrasto con le regole, rivelando spesso un’applicazione o elusione delle norme disinvolta e in alcuni casi addirittura spregiudicata“.

“Ciò induce a ritenere – viene sottolineato – che la prassi rilevata abbia una genesi lontana nel tempo e rappresenti in molti casi più un lucido escamotage che ha orientato l’attività contrattuale degli uffici verso un percorso semplificato foriero, come confermato dai recenti fatti di cronaca, di distorsioni anche di carattere corruttivo piuttosto che dalle condizioni di straordinarietà che hanno caratterizzato l’attività politico-amministrativa di Roma Capitale negli ultimi anni”.
Dietro i circa tre miliardi di euro assegnati in quattro anni a trattativa privata, scrive il Corriere, “si nasconde più il malaffare che la soluzione a situazioni d’emergenza, e l’indagine su Mafia Capitale non ha fatto altro che confermare questa ipotesi”.

Sotto la lente dell’Anac sono finite sia l’amministrazione Alemanno che quella Marino. L’ex missino nei due anni e mezzo alla guida della Capitale ha speso oltre cinque miliardi. Due miliardi, il 36 per cento del totale, è finito in procedure negoziate (procedura di affidamento dove vengono “negoziate” le condizioni dell’appalto poi affidato a chi offre quelle più vantaggiose). Con l’attuale primo cittadino invece le procedure negoziate sono salite all’87 per cento del totale, anche se per un importo complessivo dimezzato o poco più: 1 miliardo e 364 milioni in un anno e mezzo.

La denuncia dell’Anac riguarda anche il “sospetto di interessi corruttivi o criminali di altro genere dietro agli appalti a trattativa privata”. Sospetto che viene “confermato dalla constatazione di generalizzata carenza e omissione anche della verifica dei requisiti di partecipazione alle procedure negoziate degli operatori economici invitati, offerenti e aggiudicatari”. Questo particolare, scrive il quotidiano di via Solferino, insieme “all’improprio e spesso illegittimo” utilizzo della procedura negoziale per “difetto di motivazione”, alla “non trasparente scelta dell’affidatario” e al “carente controllo e verifica della prestazione”, rende il sistema di assegnazione dei lavori “un porto franco scevro dal rispetto delle regole e funzionale esclusivamente al raggiungimento di obiettivi estranei agli interessi della collettività”.

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