I giudici della Quinta sezione penale spiegano così l'annullamento dello scorso 16 giugno della condanna in appello per l'ex presidente dell'Emilia Romagna e i due dirigenti regionali Valtiero Mazzotti e Filomena Terzini
Non c’è alcuna prova che ci fu dolo da parte di Vasco Errani e dei funzionari regionali nel presentare quella relazione, che conteneva delle falsità, alla Procura. Per questo motivo la Cassazione chiede ora alla Corte d’appello di Bologna, che dovrà tenere un processo bis, di valutare “il motivo per cui gli imputati, per occultare i supposti favoritismi di cui avrebbe goduto il fratello di Errani, avrebbero scelto la soluzione apparentemente meno logica e cioè sollecitare un accertamento” con una lettera ai pm, “accollandosi il rischio” che fosse facilmente scoperta la falsità della relazione. Sono queste in sostanza le motivazioni, depositate in queste ore, con cui la Quinta sezione penale della Cassazione ha annullato lo scorso 16 giugno la condanna in appello per l’ex presidente dell’Emilia Romagna e i due dirigenti regionali Valtiero Mazzotti e Filomena Terzini. Una condanna che portò nel luglio 2014 alle dimissioni del politico dalla guida della Regione.
Errani, difeso dall’avvocato Alessandro Gamberini, è imputato di falso ideologico in merito al cosiddetto caso Terremerse. Nel 2009 il quotidiano il Giornale aveva pubblicato un articolo in cui si metteva in dubbio la regolarità di un finanziamento regionale da un milione di euro dato alla coop Terremerse guidata dal fratello di Errani, Giovanni. Letto l’articolo, il governatore aveva subito incaricato i due dirigenti di redigere una relazione, poi inviata alla procura della Repubblica di Bologna. Con quella relazione Errani voleva fornire chiarimenti sul comportamento dell’amministrazione regionale da lui guidata e chiedeva alla magistratura di indagare. Secondo i pm però, in quella relazione erano attestate, su istigazione dello stesso presidente della Regione, delle falsità sulle procedure che avevano portato a quel finanziamento. Falsità che, per l’accusa, sarebbero servite per coprire il fratello di Errani e per evitare al governatore una brutta figura politica. Nel giudizio, l’ex governatore fu prima assolto in primo grado con rito abbreviato, ma poi condannato in appello a un anno.
Ma ora la Suprema corte ha cancellato quella condanna e rinviato tutto a una nuova sezione della Corte d’appello di Bologna. La Cassazione ha inoltre espresso molti dubbi sulle motivazioni della condanna di un anno fa: “Non solo – scrivono i giudici della Corte suprema – non è stata acquisita la prova positiva dell’istigazione addebitata a Errani, ma tutte le persone coinvolte a vario titolo”, non solo i coimputati, “hanno escluso di avere ricevuto da Errani esplicite o velate pressioni” per alterare il contenuto della relazione oggetto del falso. Secondo la Cassazione non può essere fatto valere come principio esclusivo il “cui prodest” (“a chi giova”), in base al quale se un imputato è titolare di un interesse pressoché esclusivo non può che essere lui l’autore o il mandante di un reato.
L’appello, secondo i giudici di Cassazione avrebbe dovuto chiarire la tesi che ha portato alla condanna “al di là di ogni ragionevole dubbio” e non limitarsi a una lettura alternativa dei fatti. In particolare, partendo dal presupposto che la relazione “non rifletterebbe la realtà che intendeva rappresentare”, la corte d’appello ha ritenuto che le omissioni compiute fossero la “prova della volontarietà del falso”, e che chi l’ha redatta avesse voluto “occultare all’autorità giudiziaria una realtà di cui gli imputati erano invece a conoscenza”. Il giudice di primo grado nell’assolvere Errani, Mazziotti e Terzini aveva evidenziato al contrario l’assenza di dolo, rilevando “la superficialità degli accertamenti” e la “contraddittorietà” della decisione da parte di Errani di trasmettere una relazione volutamente falsa sollecitando le indagini.