La Federal Reserve ha rinviato ancora una volta la “stretta” sui tassi di interesse. Il Federal Open Market Committee, braccio monetario della banca centrale statunitense, ha deciso di mantenere il costo del denaro invariato al minimo storico, tra lo 0 e lo 0,25 per cento. La decisione era attesa dagli analisti ed era stata di fatto anticipata dai mercati. Che hanno chiuso le ultime sedute in forte rialzo, scommettendo sul fatto che la Fed non avrebbe nemmeno stavolta messo la parola fine alla politica monetaria espansiva messa in campo a partire dal 2007, in piena crisi finanziaria, per favorire la ripresa. Un’inversione di rotta appariva improbabile alla luce del rallentamento dell’economia cinese e delle turbolenze finanziarie di quest’estate. Alzare i tassi, infatti, avrebbe significato rendere più costoso l’accesso al credito, frenando gli investimenti, e mettere in difficoltà i Paesi ex emergenti oggi in crisi, dalla Russia al Brasile. La decisione non è tuttavia stata presa all’unanimità. A votare contro è stato Jeffrey Lacker, il presidente della Fed di Richmond, che spingeva per un aumento di 0,25 punti.
La Fed, nel suo comunicato, sottolinea che l’attuale livello del costo del denaro “resta appropriato” e che “sarà appropriato alzare i tassi quando si saranno visti ulteriori progressi nel mercato del lavoro e quando l’inflazione sarà tornata verso il suo obiettivo di medio termine del 2%”. L’economia globale e gli eventi finanziari “potrebbero frenare l’attività dell’economia Usa”, che “si sta espandendo a un ritmo moderato”, “in parte riflettendo il calo dei prezzi dell’energia“. Non a caso la Fed ha rivisto al ribasso le stime di crescita degli Stati Uniti, per il 2016, al 2,3%, contro il 2,5% previsto a giugno. Il settore immobiliare Usa “è migliorato ulteriormente” e la spesa delle famiglie e gli investimenti fissi “sono aumentati moderatamente”. Tuttavia, fa notare la Fed, le esportazioni nette “sono deboli”.
Secondo Gregorio De Felice, chief economist di Intesa SanPaolo, la Federal Reserve ha agito da “banca centrale mondiale”, più che solo degli Usa, visto che “la situazione economica degli Usa la conosciamo: disoccupazione al 5,1%, crescita al 3,7%. L’unica variabile che un po’ stenta rispetto agli obiettivi è l’inflazione, ma comunque la core inflation è all’1,8%. Quindi, qualcuno poteva anche pensare: ‘Se non ora, quando?'”. Ma la Fed si è mostrata anche “molto, molto vicina ai mercati”. Infatti “un rialzo dopo così tanto tempo andava preparato e questo non era stato fatto nelle ultime settimane. E tipicamente la Fed non vuole mai sorprendere i mercati: certo, ora dovremo capire quale regola per il futuro vorrà seguire. Evidentemente la valutazione è stata che il rischio di una stretta prematura era superiore a quello di un rialzo ritardato di qualche mese”.