Si fa presto a dire gelato artigianale in assenza di una definizione di legge che in Italia manca, salvo l’apprezzabile normativa varata in materia dal Trentino Alto Adige. Eppure, il gelato di tradizione italiana è uno dei prodotti di punta della nostra tradizione gastronomica che si sta diffondendo con successo all’estero così come in passato la pasta, la pizza o l’espresso.

Cosa sia il vero gelato artigianale sarà chiaro a tutti in questo fine settimana a Palermo dove, negli assi storici del percorso arabo-normanno dell’Unesco appena pedonalizzati, si svolgerà la VII edizione dell’unica manifestazione al mondo che per regolamento esclude l’uso di basi industriali: lo Sherbeth Festival. Già, perché paragonare un gelato prodotto partendo dalla materia prima con uno prodotto aggiungendo, nel caso, acqua o latte al contenuto di una busta industriale, sarebbe come non cogliere la differenza tra uno che cucina con una busta di “quattro salti in padella” ed un cuoco stellato. Nel primo caso si diventa gelatieri dopo un breve corso di istruzione, nel secondo serve invece una vita. Il guaio è che proprio in Italia la percezione di questa differenza si sta perdendo nel grande pubblico e se si perde il gusto e la memoria dell’eccellenza, si finisce per competere, come sistema Paese, al di sotto del proprio potenziale.

Il settore del gelato, tra l’attività di produzione e vendita dei circa 38.000 esercizi commerciali, molti dei quali provvisti di proprio laboratorio, e l’industria delle macchine, dei semilavorati, dell’arredamento, ecc., vale alcuni miliardi di euro ed è naturale che la forza dell’industria, dove l’Italia è leader incontrastata, abbia marginalizzato l’attività artigianale propriamente detta. Un mantecatore da pochi litri di capacità è sicuramente una macchina artigianale, cioè pensata per una lavorazione di qualità artigianale, ma se in questa macchina immetto in prevalenza un semilavorato industriale, di fatto il prodotto da artigianale che era diventa semi industriale: ecco spiegato l’equivoco.

Perché il gelato sia invece autenticamente artigianale ci vuole alle spalle, indipendentemente dal modello del layout produttivo adottato, un artigiano capace di bilanciare una ricetta partendo da materia prima di qualità innanzitutto del proprio territorio di appartenenza, secondo il ritmo delle stagioni e con tutta l’originalità della propria personale creatività. A Palermo stanno per cimentarsi in concorso oltre trenta artigiani gelatieri di varie nazionalità, tutti con un nome e cognome, un volto e una storia personale, ciascuno con un gelato che racconta il territorio di provenienza: dal gelato al sambuco e lavanda delle Dolomiti alla crema di mentuccia di Algarve con agrumi del Portogallo al cioccolato azteco e cocco o alla mandorla e percoca di Canosa di Puglia o alla Ratafia d’Abruzzo, i gusti offerti sono davvero tutti particolari.

Il direttore tecnico della manifestazione, Antonio Cappadonia, custode della grande tradizione siciliana, ha il merito di aver riunito a Palermo dei grandi professionisti che parlano oggi di gelato funzionale, di sostenibilità ambientale, di consapevolezza circa un cibo che può essere certamente prodotto in modo piacevole e sano, magari secondo un’organizzazione aziendale e tecnologica più adeguata ai tempi al fine di scongiurare il rischio di rimanere solo un mercato di nicchia.

Il concorso, presieduto da un gigante della gelateria moderna, il siculo-svizzero Luca Caviezel, ultranovantenne autore dei principali trattati in materia, è intitolato a Francesco Procopio Cutò o De’ Coltelli, un ventenne che lasciò Palermo nel XVII secolo per cercare fortuna nella Parigi del Re Sole: la trovò con i suoi sorbetti e granite che resero famoso il suo locale, Le Procope, tuttora aperto e divenuto addirittura monumento di Francia.

La Sicilia, incredibile a dirsi, esportava la neve delle sue neviere nel Mediterraneo già dal XV secolo e la neve mescolata con il sale che raggiunge la temperatura di -21°C, quella dei moderni freezer, era usata sia per motivi sanitari, si pensi alle febbri malariche, che per produrre, in contenitori metallici immersi in questo miscuglio, il gelato moderno, quello appunto di Procopio ben diverso per struttura da quello degli antichi romani o degli arabi. Agli amministratori di Palermo e della Regione Siciliana rivolgerei quindi un doveroso invito: ai primi di dedicare in città una strada a quel Procopio che sia di buon augurio ai tanti giovani che tuttora emigrano all’estero in cerca di fortuna, mentre i secondi potrebbero prendere esempio dal Trentino Alto Adige per fare chiarezza normativa in materia di gelato artigianale nella regione dove questa storia è cominciata.

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