Con la minoranza Pd sul piede di guerra e una maggioranza che a Palazzo Madama si regge su numeri incerti ed equilibri traballanti, può tornare utile un jolly da calare nel momento del bisogno. E l’asso nella manica del governo guidato da Matteo Renzi, con l’esame delle riforme costituzionali appena iniziato, è una potente arma di persuasione di massa. Si tratta delle presidenze delle commissioni e degli incarichi di governo ancora da assegnare. E utili, all’occorrenza, per conquistare voti preziosi per uscire dalla palude del Senato.
RITARDO CALCOLATO “La verità è che sulle riforme costituzionali e le unioni civili la maggioranza non c’è: ormai lo hanno capito anche i muri di Palazzo Madama. Per questo si prende tempo, si rinvia sul rimpasto di governo e le presidenze di commissione per non aggravare la situazione”, dice a il ilfattoquotidiano.it il dissidente dem Corradino Mineo fotografando il campo sul quale è iniziata la madre di tutte le battaglie della revisione costituzionale contenuta nel ddl di Maria Elena Boschi. Ancora più netta sulle ragioni del ritardo la vice presidente della commissione Bilancio in quota Movimento 5 Stelle, Barbara Lezzi: “Il motivo è semplice: non si vuole disturbare il Nuovo centrodestra (Ncd)”. Insomma, secondo la senatrice grillina, un ritardo voluto e calcolato. Perchè se l’assegnazione delle poltrone farà felici i premiati (pochi), scontenterà inevitabilmente gli esclusi e coloro ai quali in queste settimane di trattative sono state fatte promesse. Ecco spiegato il motivo per cui, se alla Camera dei deputati si è già provveduto al rinnovo delle presidenze di Commissione, un rito che per prassi si celebra al giro di boa della legislatura, la scadenza è stata invece ignorata al Senato.
POLTRONE IN BILICO In ballo ci sono le presidenze degli azzurri Altero Matteoli (Lavori pubblici) e Francesco Nitto Palma (Giustizia), ma anche quella del “celeste” Roberto Formigoni (Agricoltura) in quota Area Popolare. Caselle che potrebbero saltare e tornare utili al Partito democratico per riequilibrare le forze in campo. Specialmente dopo l’esodo registrato negli ultimi mesi dai banchi della fu Scelta civica verso il Pd. Ma soprattutto per compensare, all’occorrenza, il gruppo dei neo-responsabili (Ala) capeggiato dall’ex plenipotenziario di Forza Italia, Denis Verdini, che ha portato in dote a Matteo Renzi 10 senatori (ma punta ad arrivare a 20) per sostenere il cammino delle riforme costituzionali.
FUORI BILANCIO “Stanno mercanteggiando per evitare ripercussioni sui numeri della maggioranza”, aggiunge la Lezzi denunciando quello che definisce come lo “scandalo” della commissione Bilancio. Un caso paradossale: dopo le dimissioni di Antonio Azzollini, toccato da una richiesta di arresto emessa dalla Procura di Trani per il crac della casa di cura Divina Provvidenza e respinta dal Senato, le redini dell’organismo parlamentare sono passate in mano al vice presidente anziano del Pd, Gian Carlo Sangalli. “Noi abbiamo sollecitato più volte la sostituzione, per reintegrare l’ufficio di presidenza della commissione alla vigilia dell’apertura della sessione di bilancio”, spiega la Lezzi convinta che, nonostante le dimissioni, sia ancora Azzollini a dirigere di fatto la commissione . “Anche per questo, ma non solo, la questione è urgentissima – conclude –. Tra pochi giorni si discuterà la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def), un passaggio chiave e propedeutico all’approvazione della prossima Legge di stabilità che dovrebbe essere gestito da un ufficio di presidenza al completo. Eppure nessuno, a parte noi del M5S, sembra porsi il problema”.
INCOGNITA PALLOTTOLIERE Nelle pieghe del cambio dei vertici potrebbe aggiungersi, inoltre, la commissione Affari costituzionali attualmente guidata tra le polemiche da Anna Finocchiaro. La casella potrebbe liberarsi se la senatrice del Pd dovesse traslocare al ministero per gli Affari regionali, rimasto vacante dopo le dimissioni di Maria Carmela Lanzetta e il cui interim è stato assunto da Matteo Renzi in persona. Senza contare che alla Finocchiaro non dispiacerebbe affatto neppure una toga da giudice costituzionale. Dopo l’elezione alla presidenza della Repubblica di Sergio Mattarella, infatti, sono tre le poltrone ancora da occupare a Palazzo della Consulta. Peraltro, nella logica del do ut des e degli equilibri di maggioranza da risistemare, presidenze di commissione a parte, a disposizione del premier, oltre al ministero per gli Affari regionali, ci sono anche altri posti di governo da assegnare. A cominciare dagli incarichi di vice ministro degli Esteri, liberato da Lapo Pistelli dopo il suo discusso trasloco all’Eni, e di vice ministro dello Sviluppo Economico, lasciato vacante da Claudio De Vincenti, promosso nel frattempo come sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Senza contare che, all’occorrenza, non ci sarebbero particolari difficoltà anche ad aumentare il numero dei sottosegretari.
ACCUSA E DIFESA Ma per ora, nulla si muove. Anche se, dalle file del Nuovo centrodestra, non ci stanno a fare la parte di chi punta a monetizzare (politicamente) il proprio apporto alla maggioranza. “I ritardi nel rinnovo delle presidenze di commissione sono dovuti unicamente all’ingorgo generato a Palazzo Madama dalla discussione sulle riforme e a diversi provvedimenti che si intrecciano nel calendario”, assicura il senatore alfaniano Guido Viceconte. “Anche perché Ncd è già ben rappresentato anche al governo – insiste il parlamentare di Area Popolare –. Insomma, nessuna dietrologia dietro i ritardi nel rinnovo degli incarichi”. Ritardi dietro i quali, al contrario, il collega della minoranza dem, Corradino Mineo, scorge un dato politico ben differente: “La verità è che il decisionista Renzi, non avendo i numeri in Senato, non sa più come muoversi”.
Twitter: @Antonio_Pitoni