Gli sms della Ferilli e quelli della Falchi, le avances di Alessandra Necci e quelle di Moggi junior, le telefonate dei sacerdoti fiorentini e la sentenza europea su Craxi: sono le cosiddette “intercettazioni selvagge”, che invadono la vita privata di persone coinvolte dalle inchieste della magistratura. Quelle che hanno sollecitato governi di ogni colore ad intervenire sulla questione. Eppure negli ultimi vent'anni emergono meno di 20 circostanze, una dozzina di momenti in cui fatti privati sono finiti sui giornali: un po' poco per sollecitare una riforma
Gli sms di Sabrina Ferilli e quelli di Anna Falchi, le avances di Alessandra Necci e quelle di Alessandro Moggi, le intercettazioni dei sacerdoti fiorentini e la sentenza europea su Craxi, citata perfino in un tribunale di Nuova Delhi. Poi nient’altro, o poco più. Il totale? Meno di venti casi negli ultimi due decenni di storia italiana. Eccole qui le cosiddette “intercettazioni selvagge”, quelle che violano la privacy, invadendo ogni campo della vita privata di persone coinvolte dalle inchieste della magistratura e che poi finiscono pubblicate sui giornali senza che abbiano niente a che vedere con i reati contestati. Eccoli qui i casi in cui il garante della privacy è dovuto intervenire perché il limite era stato oltrepassato, ed occorreva mettere un freno a quotidiani e periodici che, con la scusa delle intercettazioni, “spiavano dal buco della serratura” di vip e personaggi pubblici.
Ed è proprio per questi casi che, da quasi vent’anni, governi di ogni colore politico cercano di fabbricare una legge che vieti drasticamente la pubblicazione di quelle intercettazioni. E adesso che alla Camera è in discussione la riforma del processo penale, compreso l’emendamento Pagano (in calendario martedì prossimo), quello che nella filosofia del governo Renzi dovrebbe finalmente mettere un freno alla presunta violazione della privacy, una domanda è legittima: in quanti casi, davvero, i giornali hanno violato la sfera personale, pubblicando intercettazioni che nulla hanno a che vedere con i reati contestati, con le inchieste in corso, con l’interesse dell’opinione pubblica?
Incrociando il database del garante per la protezione della privacy con le notizie pubblicate dai giornali emergono meno di 20 circostanze, per la precisione 12 casi, una dozzina di momenti in cui fatti privati, che a volte coinvolgevano persone estranee alle indagini, finivano pubblicati sui giornali perché contenute nelle intercettazioni ordinate dall‘autorità giudiziaria. Ovviamente si tratta solo dei casi rintracciati dal fattoquotidiano.it, ma anche a voler arrotondare per eccesso quella cifra, raddoppiandola o triplicandola, l’impressione è che siano davvero poche le fattispecie di violazione per giustificare il continuo allarme lanciato dalla classe politica, visto anche che, secondo l’Eurispes, sono ben 140 mila le utenze telefoniche intercettate dagli uffici giudiziari italiani ogni dodici mesi per un totale di 180 milioni di eventi telefonici (sms e chiamate). Ovviamente non si tratta del numero di persone sotto intercettazione, visto che in realtà ogni soggetto ha a sua disposizione più utenze, che vengono registrate solo per alcuni giorni.+
Le baby squillo dei Parioli
Uno degli ultimi casi in cui il garante della privacy è dovuto intervenire per strigliare i media è quello delle baby squillo dei Parioli. Al centro dell’inchiesta il fotografo Furio Fusco, accusato di adescamento di minori, pornografia minorile aggravata e prostituzione minorile. I giornali rendono note le intercettazioni dell’inchiesta (che coinvolge anche Mauro Florani, marito di Alessandra Mussolini), ma il garante fa notare come siano stati pubblicati “dettagli che potrebbero rendere identificabili alcune delle ragazze coinvolte (che sono minorenni ndr) e ledere la loro dignità, in violazione della carta di Treviso e del codice deontologico dei giornalisti”.
Gli sms della Ferilli
Non violano i diritti di minorenni ma non andavano comunque pubblicati gli sms di Sabrina Ferilli all’ex amico Francesco Testi. L’attrice romana era stata querelata dall’ex partecipante del Grande Fratello, perché in un’intervista aveva negato l’esistenza di una liason, dandogli velatamente dell’omosessuale. Testi la trascinò in tribunale, producendo come presunta prova gli sms ricevuti dalla Ferilli,. Il garante però intervenne ordinando a periodici e giornali di“astenersi dalla pubblicazione di sms eventualmente idonei a rivelare abitudini sessuali”.
I “ti amo” della Falchi a Ricucci
Erano intercettati dalla procura di Milano nell’ambito delle indagini sulla scalata Antonveneta. Nei brogliacci però finirono anche le effusioni telefoniche tra Anna Falchi e il marito, il “furbetto del quartierino” Stefano Ricucci. “Solo per dirti che sono la donna più felice del mondo, perché ho te amore mio grande, ti amo. Capito? Sono tua per sempre. Ricordalo”, scriveva in un sms la showgirl di origine finlandese. Un “evento telefonico” intercettato e finito poi agli atti dell’inchiesta che però nulla aveva a che vedere con l’interesse pubblico, come poi confermato dal garante. È anche vero, però, che all’epoca il rapporto tra Falchi e Ricucci era noto da tempo: i due si erano sposati un mese prima dell’intercettazione in questione. La privacy violata, in questo caso, non sarebbe altro che la pubblicazione di effusioni tra marito e moglie.
Il primo caso: Necci – Pacini Battaglia
Di tutt’altro tenore invece lo scambio tra Alessandra Necci, la figlia dell’ex numero uno delle Ferrovie dello Stato Lorenzo, e il banchiere Francesco Pacini Battaglia. “Hai visto come sono sexy?Mi trovi un lavoro?” chiede la Necci a Pacini Battaglia, indagato dai pm della procura di Milano: è forse uno dei primi casi in cui inchieste della magistratura hanno invaso la vita privata degli indagati. Siamo, infatti, nel 1996 e l’onorevole Enzo Fragalà di Alleanza Nazionale ha appena chiesto per la prima volta una legge sulla intercettazioni. Fragalà sarà assassinato a colpi di bastone 14 anni dopo, e le intercettazioni telefoniche saranno fondamentali per individuare i suoi presunti killer: questa però è un’altra storia.
Calciopoli e l’esempio D’Amico
Rappresenta un caso da manuale invece l’inchiesta su Calciopoli. Luciano Moggi aveva lamentato inutilmente (e senza alcun presupposto giuridico) l’invasione della sua privacy per le centinaia di intercettazioni che lo riguardavano. Nell’inchiesta sull’ex dg della Juventus, però, spunta anche il nome di Ilaria D’Amico. La giornalista era citata nell’indagine perché era l’oggetto delle avances di Alessandro Moggi, il figlio di Luciano. “Ho speso 10mila euro per portarla a Parigi, ho preso un aereo privato, albergo di lusso, ristorante favoloso”, diceva Moggi junior intercettato. Il nome della conduttrice Sky, dunque, era finito sui giornali senza che fosse minimamente coinvolta in alcun filone dell’indagine: che l’emendamento Pagano arrivi dunque per tutelare i casi come quello della D’Amico? La diretta interessata ha già smentito con il suo commento in diretta televisiva. “Certo, mi ha dato fastidio – ha detto – ma non per questo chiedo il bavaglio alle intercettazioni”. Chapeau.
Il caso di padre Bisceglia e le minacce all’arcivescovo di Firenze
Repentino l’intervento del garante dopo l’arresto di padre Fedele Bisceglia, accusato di aver violentato una suora: “l’Autorità – scrivono i garanti – richiama gli organi di informazione alla necessità di evitare la divulgazione di elementi non indispensabili. La vicenda in questione, in particolare, vede coinvolte oltre all’interessato altre persone e la stessa presunta vittima della violenza sessuale, la quale potrebbe risultare lesa nella sua dignità dalla diffusione di particolari e dettagli sui fatti che la riguardano”. Dopo l’annullamento della condanna a 9 anni e 3 mesi da parte della Cassazione il francescano è stato assolto nel secondo processo d’appello. Lamentavano la violazione della privacy anche all’arcidiocesi di Firenze, dopo che vennero pubblicate alcune conversazioni telefoniche in cui l’arcivescovo Giuseppe Betori parlava di un incontro con il Papa. Intercettazioni realizzate durante l’inchiesta della procura aperta per fare luce sul ferimento a colpi di pistola di un sacerdote, don Paolo Brogi, e sulla conseguente minaccia, con l’arma puntata alla testa, dello stesso arcivescovo.
Le chiamate di Bettino e gli indiani
Nel 2003, invece, era arrivata addirittura da Strasburgo la condanna per l’Italia, colpevole di aver violato l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata. Il motivo? Le intercettazioni eseguite dalla procura di Milano nei confronti di Bettino Craxi. L’ex leader socialista aveva fatto ricorso alla Corte di Strasburgo per la pubblicazione sui giornali delle registrazioni telefoniche di carattere privato operate nell’inchiesta sulla “Metropolitana Milanese” sulla sua utenza di Hammamet, in Tunisia, dove era latitante. La sentenza di Strasburgo fece talmente scalpore che dieci anni dopo, nel 2013, l’uomo d’affari indiano Ratan Tata è comparso davanti alla Corte Suprema di New Delhi, durante un’udienza su intercettazioni telefoniche a carico di personalità del Paese, invocando la difesa della sua privacy citando proprio il caso Craxi.
“Non pubblicate quelle mail”. Ma erano utili: il caso Garlasco
Non erano intercettazioni ma avevano attirato l’attenzione del garante le e-mail tra Alberto Stasi e la fidanzata Chiara Poggi. “La pubblicazione delle e-mail una inutile lesione della sfera più intima dei due giovani”. Quelle mail però erano importanti per gli inquirenti, che accusavano Stasi di aver ucciso la fidanzata. E dopo la cancellazione da parte della Cassazione di due assoluzioni, il 16 dicembre 2014 la corte d’Assise d’Appello di Milano ha inflitto una condanna a 16 anni di carcere a Stasi.
Vallettopoli, il caso Sottile e le intercettazioni di Potenza
Hanno lamentato la violazione della privacy anche le varie showgirl coinvolte in Vallettopoli l’inchiesta che ha travolto Salvatore Sottile, ex potentissimo portavoce di Gianfranco Fini ai tempi della Farnesina, poi condannato a 8 mesi di detenzione per peculato. Le prestazioni sessuali in cambio di lavori in televisione, però, erano una parte importante dell’inchiesta. Addirittura nel caso del verbale d’interrogatorio di Elisabetta Gregoraci, è lo stesso legale della futura moglie di Flavio Briatore ad auspicare che “la fonoregistrazione venga resa pubblica in modo da accertare modalità e contenuti dell’interrogatorio”.
Furono bollate come ”inutilizzabili”, invece, le intercettazioni disposte dall’allora pm di Potenza Henry John Woodcock nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti della Federconsorzi, una costola del filone “holding del malaffare” nel quale finirono indagati personaggi eccellenti come Franco Marini, Sergio D’Antoni, Flavio Briatore, Tony Renis, Emilio Colombo, Luciano Gaucci, l’ambasciatore Umberto Vattani. Per la Cassazione si era in presenza di ”assoluta mancanza di motivazione, in un contesto caratterizzato da un coacervo di iniziative investigative coinvolgenti un grande numero di indagabili per fatti diversi e scollegati tra loro”.
Gli inutili allarmi di B, il caso Ruby
Silvio Berlusconi detiene probabilmente il record degli allarmi lanciati a difesa della privacy. Ma invece che invadere la sua sfera privata, quelle registrazioni servivano soltanto ad accertare fattispecie di reato. Impossibile fare l’elenco degli inutili strilli dell’ex cavaliere negli ultimi vent’anni. Il caso Ruby fa però da cartina di tornasole: per l’ex premier quello che succedeva ad Arcore erano solo cene eleganti e private: gli inquirenti però indagavano su un caso di favoreggiamento e induzione prostituzione minorile. E anche se alla fine il leader di Forza Italia è uscito assolto dal primo processo Ruby (dopo la condanna in primo grado), quell’inchiesta è costata una condanna in appello per Emilio Fede, Nicole Minetti e Lele Mora, mentre alle battute iniziali il terzo processo nato da quell’inchiesta con 33 persone indagate più lo stesso ex premier, accusati di reati che vanno dalla corruzione in atti giudiziari alla falsa testimonianza.
La raccomandazione in Rai? Non parlatene
L’ex cavaliere aveva lamentato una presunta violazione della sua privacy anche per le intercettazioni con Agostino Saccà: gli segnalava nomi di ragazze da far lavorare in Rai. ”Sai che poi ti ricambierò quando sarai dall’altra parte, quando tu sarai un libero imprenditore: Mi impegno a darti un grande sostegno’”, prometteva l’ex premier. Per la procura di Roma, però, alla fine l’accusa di corruzione, mossa in un primo momento dai pm napoletani e poi passata agli inquirenti capitolini per competenza, era da archiviare. E alla fine i pm Sergio Colaiocco e Angelantonio Racanelli avevano chiesto la distruzione di migliaia di brogliacci “per assicurare il massimo della tutela possibile alla riservatezza dei soggetti coinvolti’”.
E per questo motivo che, dopo la distruzione, Saccà ha annunciato di voler denunciare tutti coloro che avessero ancora pubblicato il contenuto di quelle telefonate. “Per proteggere la mia privacy”, diceva il direttore di Rai Fiction. Eppure non si capisce perché l’opinione pubblica non dovrebbe essere messa a conoscenza del fatto che un ex e futuro presidente del consiglio (i fatti risalgono al 2007) intervenga per far lavorare sue personali amiche in trasmissioni televisive pagate con soldi pubblici. O forse si capisce benissimo. E a ben pensarci è lo stesso motivo per cui da vent’anni si invoca quella legge sulle intercettazioni agitando lo spettro della privacy violata.
La riforma delle intercettazioni? “La facciamo per la gente normale”
“Perché facciamo questa riforma? Per la gente normale che ogni giorno finisce in pasto all’opinione pubblica nelle gazzette locali? Chi ne difende il buon nome?”, diceva nel marzo del 2015 l’ex segretario dem Pierluigi Bersani. Eppure con la nuova legge in vigore, quella ideato per proteggere la privacy dei cittadini, sarebbe stato impossibile per un ex funzionario dell’Asl di Benevento, registrare segretamente la voce di Nunzia De Girolamo nel 2012 , quando l’ex ministra aveva riunito i vertici dell’Asl a casa del padre per discutere dell’appalto del 118 e di nuove sedi ospedaliere. E sconosciuta ai cittadini sarebbe anche l’intercettazione in cui il numero due della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, parlava di Giorgio Napolitano , sostenendo che “l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro ed (Enrico, ndr) Letta ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio (il figlio dell’ex presidente della Repubblica ndr). Ecco quale è il vero motivo che sta alla base della voglia di bavaglio: solo che con la dozzina di casi di violazione della privacy registrati negli ultimi vent’anni c’entra poco. Anzi nulla.
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