Erudito e dotato di humour, recordman di citazioni, insultatore con stile, prima vicino a Nick o' Americano e ora a Verdini, il senatore casertano fa parte della pattuglia che potrebbe blindare la legge sul nuovo Senato. Che lui ha avversato fino allo scontro frontale con B (che per questo lo mandò a quel Paese)
Questa volta niente citazioni, niente aforismi, niente lezioni. Chissà a che santo si sarebbe potuto votare, e che ridere: magari avrebbe ricordato Depretis o Francesco Crispi oppure avrebbe ripescato Fregoli o almeno Arturo Brachetti. O ancora avrebbe potuto azzardare e buttare lì la Metamorfosi o la Trasfigurazione dei vangeli. Invece, questa volta, il senatore Vincenzo D’Anna, tra i più eruditi e dotati di humour che si possano ascoltare a Palazzo Madama, non ha estratto volumi né ha fissato segnalibri. Potrebbe vincere il campionato d’Europa di citazioni, invece il suo cambio di scena nel giro di un anno e due mesi sulle riforme istituzionali l’ha spiegato al FattoTv in modo quasi banale: “Era ed è una fetenzìa. Una pessima legge; una riforma che metterà nelle mani di due, tre capibastione la vita del Parlamento e tutto il potere. Ma siccome Renzi va nella direzione di riforme di stampo liberale, siamo ben lieti che venga sul nostro versante. E allora potremmo, qualora ce ne fosse bisogno, sostenere il governo”.
Faceva ostruzionismo contro quella riforma liberticida, lui che invece è liberale. “Non difendiamo i nostri augusti deretani – volle mettere a verbale – ma il diritto degli italiani a eleggersi i propri rappresentanti”. Anzi “se Berlusconi avesse fatto questo, molti di questi sofferenti sarebbero qui con le mutande arancioni a protestare”. Per battersi contro la trasformazione del Senato aveva fatto di tutto. Dal suo seggio, lassù, alle ultime file, aveva chiesto la parola per l’ennesima volta per rallentare il dibattito: “Cambiamento non è sinonimo di miglioramento e chi dissente non è folle”. Di più: “Un liberale è al tempo stesso conservatore quando si tratta di conservare la libertà minacciata ed è questo il caso di un progetto di riforma che priva gli italiani del diritto e della libertà di poter scegliere i propri parlamentari, e radicale ogni qual volta si devono conquistare ulteriori spazi di libertà per il cittadino”. E via di Moro, Locke, eccetera. La riforma del Senato, insisteva, era “un attentato alla democrazia che instaurerebbe un regime“.
Si trattava, per D’Anna, di una battaglia campale tanto che era arrivato a sacrificarsi perfino al cospetto del capo: si era preso in faccia un vaffa tondo tondo da Silvio Berlusconi, una specie di lettera scarlatta che in Forza Italia – ai tempi – poteva marchiare a vita. Faceva caldissimo e lui era al fianco di Minzolini e Bonfrisco contro il Patto del Nazareno. L’ex presidente li voleva convincere che l’intesa per le riforme era una cosa giusta, che serviva al partito, al Paese o forse più semplicemente a lui in persona. E loro niente, e lui che minacciava i probiviri (figurarsi, il partito non li ha nemmeno mai nominati). Lo humour di D’Anna si trasformò così in sarcasmo e nella sala di San Lorenzo in Lucina osò: “Presidente, allora che fai, ci cacci?”. A Berlusconi si può dire tutto, ma quello no: non ci vide più e, invece di tirargli una sedia, mandò D’Anna a quel paese.
D’Anna, 64 anni, biologo di Santa Maria a Vico, presidente della Federazione nazionale dei laboratori d’analisi, è un ex democristiano. Al suo paese ha fatto anche il sindaco. Per cinque anni ha fatto il deputato, dal 2013 è senatore. Insultatore ma con stile, la Cirinnà del Pd lo mandò a spigare e lui protestò perché rivendicava i diritti. Ha il coraggio di sfidare la presidenza, spesso, lasciandosi andare a quelle che lui, retore professionista, forse chiamerebbe lepidezze, ma anche a parole che non si potrebbe, “perché non consone a quest’Aula e al ruolo” come borbottano sempre dal banco del presidente Grasso o la Lanzillotta o la Fedeli. E’ rimasto nella storia, minuscola certo, quel teatrino del 7 agosto 2014, alla vigilia della prima approvazione delle riforme al Senato: nessuno riuscì a contare esattamente quante volte gridò “deficiente” al collega Lello Ciampolillo dei Cinque Stelle (c’è chi dice tra 10 e 15). E quando Ciampolillo chiese a Grasso di metterlo a verbale e questi cercava di dissuaderlo perché qualcuno avrebbe voluto sottoscrivere, D’Anna non ci pensò più di un secondo: si alzò e non si trattenne, “confermo e sottoscrivo” esclamò al microfono (boato da stadio in Aula).
Cosentino e Verdini avevano negato, giurato e spergiurato. Ilfattoquotidiano.it aveva raccontato dell’incontro al bar tra l’ex sottosegretario Nick e l’ex editore-banchiere Denis, pochi giorni dopo la nascita del governo Renzi. Obiettivo: costruire una stampella per il presidente del Consiglio. Tutti si stracciarono le vesti. Cosentino se la prese direttamente con il giornalista del Fatto Fabrizio D’Esposito, Verdini ironizzò sugli “Sherlock Holmes” e i “pistaroli” che delineavano “fantomatici scenari”. Ora, per una strana congiunzione astrale, a salvare Renzi potrebbe essere proprio una pattuglia formata da verdiniani e cosentiniani, di cui D’Anna è la sintesi perfetta.
Ma con la primavera è sbocciato l’amore e con l’estate la passione: “Che bella intervista” ha commentato estasiato il senatore casertano dopo che Renzi parlò a Cazzullo sul Corriere. Bene le riforme, bene sulla scuola, bene sul lavoro. Così ora il senatore D’Anna tiene il telefono vicino, metti che squilla: “Auspichiamo un processo di avvicinamento di Renzi al centro: se fosse così appoggiando la maggioranza saremmo pronti e anche ad entrare nel governo”.