Circa 2,2 miliardi di euro di ricavi contro i 68 milioni messi nero su bianco nei resoconti di Cgil, Cisl e Uil. Che non hanno l’obbligo di presentare un bilancio consolidato da cui risulti quanto costa davvero la “macchina” a lavoratori e pensionati. A fare i conti è stato L’Espresso, che ha sommato i proventi legati alle iscrizioni, la quota-parte di competenza delle confederazioni sui 266 milioni che l’Inps incassa da artigiani e commercianti, gli incassi dei centri di assistenza fiscale (Caf) e i contributi che vanno ai patronati. L’inchiesta del settimanale arriva dopo la polemica sui mega stipendi dei sindacalisti Cisl scoppiata in agosto in seguito alla diffusione di un dossier di denuncia da parte di un iscritto in pensione. Prima ancora a fare scandalo era stato il caso dell’aumento vertiginoso ricevuto dall’ex segretario Raffaele Bonanni prima delle dimissioni. Giovedì, la Cgil ha annunciato un’operazione trasparenza sulle buste paga, rendendo noto che la leader Susanna Camusso guadagna 3.850 euro netti al mese e i segretari nazionali poco meno di 2.800.
Tornando ai bilanci, i ricavi complessivi che risultano dall’analisi dell’Espresso sono ben lontani dalle cifre rese note dalle tre sigle confederali, che essendo ancora oggi associazioni non riconosciute – dovrebbe rimediare l’attesa legge sulla rappresentanza, prevista dalla Costituzione ma mai varata – si limitano a dar conto delle quote trattenute dalla sede centrale di Roma. Poco più di 68 milioni, appunto. Ma, tenendo conto degli 11,7 milioni di iscritti complessivi dichiarati, solo dalle quote di iscrizione la Cgil deriva secondo i calcoli del settimanale oltre 741 milioni, la Cisl 608 milioni e la Uil 315 milioni. Ogni sigla ha diritto infatti allo 0,80% della retribuzione annua dei lavoratori attivi e allo 0,40% degli assegni dei pensionati. La somma fa 1,7 miliardi. Contro i 600 milioni e rotti ammessi dalle confederazioni guidate da Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. In più ci sono i 266 milioni che l’istituto di previdenza gira alle organizzazioni per la gestione artigiani e commercianti.
A questi soldi privati vanno aggiunti quelli pubblici. A partire dai compensi ai Caf, i centri che aiutano i contribuenti a fare la dichiarazione dei redditi. Stando ai dati dell’Agenzia delle Entrate, 17,6 milioni di dichiarazioni su 19,4 milioni nel 2014 sono passati per i loro sportelli, il 45% dei quali è appannaggio dei sindacati. Per ogni modello lavorato ricevono 14 euro, che salgono a 26 per i 730 presentati insieme dai coniugi. Ipotizzando per prudenza che tutte le dichiarazioni gestite dai Caf sindacali siano state del primo tipo, l’incasso complessivo è di 111 milioni. Cifra che non si discosta molto, del resto, dalle cifre ufficiali del ministero dell’Economia.
Infine ci sono i patronati, emanazioni dei sindacati che forniscono servizi di assistenza a lavoratori e pensionati. Dietro rimborso da valere su un fondo alimentato dai contributi previdenziali. La Nota sul finanziamento diretto e indiretto del sindacato curata da Giuliano Amato riporta che solo nel nel 2012 Inps, Inpdap, Inail e Ipsema hanno versato per il loro funzionamento 423 milioni. Esentasse. E a fare la parte del leone sono stati Inca Cgil, Inas Cisl e Ital Uil, per un totale di 182 milioni. La stessa relazione sostiene che “è evidente che il funzionamento dei patronati non comporti un finanziamento pubblico, sia pur indiretto, delle associazioni o organizzazioni promotrici”, ma subito dopo ricorda che “c’è per la verità un’unica disposizione (non legislativa, ma statutaria) che può essere letta in questa chiave”. Quella che dispone, “nel caso di scioglimento dell’ente, la devoluzione dell’intero patrimonio di quest’ultimo in favore dell’organizzazione promotrice”.