Il tempio ha perso la sua anima, penso stupidamente sedendomi sulla panca, accanto a un uomo del Bangladesh. E soltanto perché non ci sono più le vecchie.
Il mare si nascondeva oltre il canalone, la fortiera era prossima alla baia, un incanto inesatto, perché i fumi delle fabbriche promanavano indizi di morte come sempre. Odio Mazzarruna. Il riassunto di tutte le mie sconfitte, non vorrei estendere il dogmatismo, ho le prove, posso dimostrarlo però. I cani ringhiavano dal lucernario, dai condotti usciva un liquido giallastro, poltiglia immonda. La vedova cercava ancora qualcosa, un dettaglio da conservare nelle sue giornate lanuginose, senza memoria. Pensavo a Romina anche o a Mary che non c’era più, morta di cancro. La ricordo così bene, i suoi vestiti da signora, i capelli sottili neri, il cerchietto, le ballerine rosa. Il suo coraggio, la disfatta, come per certi personaggi femminili del neorealismo, mi verrebbe da dire tutti. Andreina di Moravia o la vedova Virginia, la “repubblichina” di Pratolini ne “Un eroe del nostro tempo”.
La prima trova il suo destino in un lungofiume, l’altra in un giardino segreto, conficcata a una lama della balaustra. La medesima commovente amarezza mi ingenera il ricordo di Mary. Mary voleva morire, mi raccontava Romina, ma non ne aveva il coraggio. Era finita a farsi, come tutti i compagni di Mazzarruna, è una storia che ho vi ho riferito già. Con la vedova siamo tornate al tempio, allora. Il nostro cuore pesava ogni nostalgia. Ne avevamo entrambe da custodire o nutrire negli anni del silenzio che sarebbero venuti. Per lei era così. Per me, no. No, non ancora.
Quando sono tornata al tempio, la vedova non c’era. Non l’ho cercata. Ci sono gli ambulanti, i turisti, gli stand delle petizioni, i militanti dei movimenti. Che splendida città. Siracusa.