Il governatore catapultato da Berlusconi in Liguria in tre mesi si è occupato soprattutto di spoil system. Le promesse elettorali su immigrati, rilancio economico e trasparenza sono rimaste sulla carta
Ci fu un tempo, non lontano, in cui il candidato alla presidenza della Liguria Giovanni Toti se ne uscì collocando Novi Ligure in Liguria, suscitando l’ironico tweet del governatore uscente, Claudio Burlando. “Volevano deburlandizzare la Liguria, si sono fatti desalvinizzare da uno che non sa che Novi Ligure è in Piemonte”. Il marziano piovuto dalle stanze del potere berlusconiano, lo definirono a sinistra. Alludevano al ruolo di consigliere politico dell’ex Cavaliere e alla sua inesperienza come amministratore pubblico di un territorio che l’ex direttore di Studio Aperto, 47 anni, ex socialista, sposato la collega Siria Magri, era accusato di non conoscere affatto. Peggio, di non avere con la Liguria alcuna parentela, affettiva e logistica. Nato a Viareggio, cresciuto a Massa Carrara, laureato in scienze politiche a Milano, residente ad Ameglia, estrema propaggine ligure di levante. Poco ligure per essere arruolato fra gli indigeni.
Partendo da premesse di immagine tanto sfavorevoli, l’underdog Toti ha sbaragliato il campo e con il decisivo sostegno di voti della Lega Nord – che ha sfondato addirittura il muro del 20% alle elezioni del 31 maggio – grazie al 12% raggranellato da Forza Italia ha messo fine al decennio di incontrastato dominio di Claudio Burlando, unico duce – nel senso di guida – del Pd ligure.
Vittoria destabilizzante, quella di Toti, per gli assetti politici della Liguria che alla Regione aveva conosciuto una sola parentesi di centrodestra – con Sandro Biasotti, dal 2000 al 2005 – per poi ripiombare nel tradizionale mainstream di centrosinistra. A sconsigliargli di fare un ingresso dirompente nella sala verde di via Fieschi, oltre l’indole personale c’erano anche i risultati elettorali: un solo seggio di vantaggio, con una maggioranza appesa alle evenienze della vita quotidiana. Andato a vuoto il tentativo di farsi attribuire tre consiglieri in più, sulla base di una controversa disposizione di legge, Toti si era acconciato a muovere i primi passi da governatore praticando una strategia dialogante con l’opposizione. Partito Democratico e Movimento 5 Stelle.
Il primo nodo: tutti gli uomini del Presidente
Subito dopo la proclamazione dell’8 giugno, la prima grana riguarda gli uomini da mettersi in torno. La Lega Nord è stata premiata con la vicepresidenza e deleghe di peso. Sette gli assessori: tre di Forza Italia (Giampedrone, Cavo e Marco Scajola, nipote dell’ex potente ministro Claudio, ras dell’imperiese), altrettanti della Lega Nord (Sonia Viale, che ha avuto anche la vicepresidenza, Mai e Rixi). Il settimo assessore è andato con Giacomo Berrino a Fratelli d’Italia.
E subito una grana. Rixi con l’altro leghista Francesco Bruzzone (presidente del consiglio regionale) è indagato per le spese pazze in regione. Se fosse condannato, per la legge Severino perderebbe il posto e manderebbe in crisi la maggioranza. Anche per neutralizzare questa eventualità – e per mettere al sicuro i numeri – Toti ha fatto filtrare l’intenzione di far dimettere da consiglieri Giampedrone e Cavo per sostituirli con Lilli Lauro (consigliera comunale fedelissima del coordinatore regionale di FI, Sandro Biasotti), e col leghista Franco Senarega.
Fuoriprogramma con il presidente dell’Autorità Portuale Luigi Merlo. Toti lo aveva pregato di soprassedere alle annunciate dimissioni ma poi aveva permesso al fido Giampedrone di presentare il piano regionale di indirizzo senza sottoporlo a Merlo. Ipotesi di dimissioni rientrata ma poi ribadita irrevocabilmente proprio nei giorni scorsi. E tentativo del ministro Delrio di convincerlo a restare fino a tutto il 2015.
Conferma a sorpresa (temporanea, disse Toti) per i sette direttori generali della Regione, tutti legati a Burlando. Sostituito il segretario generale, andato in pensione. Il breve interregno della burlandiana Gabriella Lajolo si è concluso con la nomina di Paolo Emilio Signorini, alto dirigente del ministero delle Infrastrutture, spiazzato dalla vicenda che ha spezzato la carriera del potentissimo Ercole Incalza, del quale Signorini era l’erede designato.
Il gioco di poltrone sulla sanità
Toti viceversa è pesantemente intervenuto nelle nomine dei dirigenti sanitari, il suo vero rovello. Ha voluto un manager alla guida del settore che rappresenta il maggior capitolo di spesa e lo ha trovato in Francesco Quaglia. La sanità ligure è gravata da debiti enormi e Toti sta mettendo a punto un’alleanza strategica con la Lombardia per esportare al mare il modello lombardo. L’obiettivo è mettere a punto un sistema alternativo alla sanità pubblica a disposizione dei pazienti liguri. Che potrebbero così optare per farsi curare nelle strutture private lombarde, in regime di convenzione. Il Pd ha subito gridato alla colonizzazione. Segnalando i rischi per la sanità pubblica. Ma Toti ha tirato dritto. E’ stato il primo segnale che si stanno affilando le armi e che la luna di miele volge al termine.
La sanità ha innescato uno scontro fra Toti e la vicepresidente Viale che con un colpo di mano aveva provato ad accelerare l’accorpamento delle Als 3 e 4 nominando direttore generale di entrambe (per un anno) Luciano Grasso. Nomina subito revocata per la Asl 4 del Tigullio di fronte alle proteste dei sindaci e all’intervento di Toti. Viale è stata quindi costretta a confermare, per un anno, al vertice della Asl 4 Roberto Cavagnaro.
Immigrati, la voce grossa che nessuno ascolta
L’altra miccia l’hanno innescata i migranti. La vicepresidente Sonia Viale, leghista, con delega all’immigrazione, aveva subito chiarito che di accoglienza non voleva sentir parlare. Aveva proposto l’apertura sul territorio ligure di un Cara (Centro di accoglienza richiedenti asilo). Toti si è accodato senza particolare entusiasmo. Il progetto di Viale è naufragato di fonte alla fermezza del prefetto Fiamma Spena e del sindaco di Genova, Marco Doria.
Le briciole del sistema pubblico
Ai fronti di scontro sulle nomine al vertice di Liguria Informatica e Filse, la finanziaria della Regione. Su Liguria Informatica, la società che assiste la regione nella informatizzazione dei servizi, la nomina di Marco Bucci ha scatenato l’opposizione per una vota unita, da Pd a Movimento5Stelle. Niente da dire sulle qualità professionali del manager, senonché Bucci lavora per la Carestream Health, una multinazionale Usa in rapporti di affari con alcune Asl liguri. Conflitto di interessi evidente, ha strillato l’poosizione. Toti non ha fatto retromarcia. Per la Filse, il prescelto è un veneto, Bruno Codognato Perissinotto, manager con vasta esperienza specifica sui temi del credito alle imprese; ma coinvolto in una bancarotta fraudolenta. La sua nomina ha offerto alla maggioranza il destro per aumentare di un membro il cda della Filse infilandoci un suo rappresentante e assicurandosene così il pieno controllo. Anche l’opposizione ha strappato un suo rappresentante. E’ lo spoil system, gente.