Caro Michele Serra,
sei da anni una delle firme italiane più ispirate. Ho letto, giorni fa, la tua ennesima intemerata contro i social network. Negli ultimi anni hai detto che “Twitter fa schifo”, hai obbligato un tuo fan a chiudere una pagina a te dedicata, ti sei scagliato contro Facebook che non accetta che un utente si cancelli. La tua, ormai, è una guerra santa alle agorà virtuali. Capisco che il fastidio per la Rete sia sincero, e capisco anche che ti aiuti a rimarcare quell’allure un po’ vintage che tanto piace a un certo pubblico. Non ho voglia, né motivo, per farti cambiare idea.
Il punto è un altro: coltivo un desiderio forse strano, ma da molti condiviso, secondo cui sarebbe bello – e più che altro doveroso – se questa rabbia la indirizzassi non tanto sulle storture del web, quanto sullo sfascio democratico ora in atto. So bene che non ti occupi solo di Rete: quando però tocchi temi più sensibili, e dunque divisivi, è come se tu inseguissi una garbata perfezione dell’ovvio. Con prosa ispirata e svolazzante, indori la pillolina del buon senso e stai ben attento a non scontentare nessuno (anzitutto i tuoi lettori). Non aneli quasi mai all’essere urticante, bada bene non per mera posa provocatoria ma per creare un cortocircuito in chi ti legge: per costringerlo al dubbio, al pensiero. Sai essere gradevolissimo su temi – per te – “facili” come razzismo e immigrazione, diritti civili e pollai televisivi. Poi, non appena parli di politica, o per meglio dire di (questi) politici, metti il freno a mano: te ne stai a centrocampo, come un regista stanco che dopo averci troppo pensato opta per il passaggio più scontato. Eri già un po’ fedele alla linea quando rimproveravi a Gaber di prendersela con tutti alla fine dei Settanta, e ami giocare al “conservatore illuminato” che preferirà sempre il caro vecchio “partito” ai Civati scapestrati. Ora però rischi di assurgere ad aedo (ispirato, beninteso) del “votare Pd per abitudine”: un sacerdote laico che assolve chi, pur non gradendo la pochezza renziana, alla fine accetta tutto e vota quel che ordinano Renzi e Verdini (ops).
Davvero ti vanno bene le minacce, i ricatti, le compravendite? Davvero non ti fa soffrire, e non ti mette paura, questo smisurato parossismo di immoralità, arroganza e ridicolo? Come e quanto li avresti scorticati, ai tempi di Cuore, questi renziani imbarazzanti? Dimmi: eri antiberlusconiano perché non ne condividevi le idee o lo eri solo perché il Caimano indossava la maglia della squadra rivale? Com’è che funziona questa intransigenza a singhiozzo, caro Michele? Com’è che facevi i girotondi con Berlusconi e il pantafolaio con Renzi, anche se il secondo compie le stesse cose del primo? Non so se questa tua acquiescenza dipenda da una serenità privata, da una svolta new age, dai profumi naturali che produci in Valtidone. Di sicuro non penso, come ha scritto stupidamente Brunetta, che da giovane promettevi di essere “bravo quasi come Goldoni e invece gli tocca fare il ghostwriter di Fabio Fazio”, sebbene quel salotto televisivo a cui collabori fattivamente appaia sempre più mieloso, pavido e in ultima istanza correo.
Credo però, anzitutto per una persona di talento come te, che accettare tutto questo costituisca una colpa grave: un essere “per sempre coinvolti”. Ricordi cosa sosteneva De André? “L’artista è un anticorpo che la società si crea contro il potere. Se si integrano gli artisti, ce l’abbiamo nel culo!”. Ecco: davvero, in nome di Renzi, vale la pena passare da “anticorpo” a “integrato”? Pensaci.
il Fatto Quotidiano, 20 settembre 2015