Strada ancora accidentata in vista della creazione della banca del dna. Che ora rischia pure la procedura di infrazione. Nonostante siano passati sei anni dalla legge con cui l’Italia ha recepito il trattato europeo sottoscritto addirittura nel 2005, il sistema di schedatura pensato come strumento per il contrasto al terrorismo internazionale, la lotta alla criminalità transfrontaliera e all’immigrazione clandestina e, non ultimo, alla ricerca delle persone scomparse, rischia di finire su un binario molto pericoloso. A lanciare l’allarme, da ultimo, il Consiglio di Stato che, chiamato ad esprimere una valutazione, senza mezzi termini, ha definito il testo del regolamento che istituisce la banca dati nazionale presso il ministero dell’Interno e il laboratorio centrale del ministero della Giustizia, “ambiguo” nella sostanza e praticamente un pastrocchio nella forma: quanto a quest’ultimo aspetto, se non sanati prima del varo definitivo da Palazzo Chigi, alcuni vizi sostanziali potrebbero aprire la strada a future possibili impugnazioni: manca per esempio il concerto dei ministri che esprime “l’adesione sul piano politico al contenuto del provvedimento. Del resto neppure risulta se e quando vi sia stata la deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri”.
Ma al di là del dato formale il Consiglio di Stato rileva come il provvedimento sia caratterizzato da una certa ambiguità di fondo specie per quel che riguarda l’impiego dei dati nell’ambito di future collaborazioni internazionali con Paesi terzi come per esempio gli Stati Uniti: sul punto si era espresso in maniera critica anche il Garante della privacy che aveva negato che gli scambi di informazioni relativi al dna possano essere disciplinati dal regolamento in questione che dà attuazione al Trattato di Prum sottoscritto dall’Italia in ambito europeo. Ma nel parere redatto dal Consiglio di Stato vengono messi in fila una serie di altri dubbi e obiezioni elencati in maniera puntigliosa che investono quasi integralmente il testo che avrà bisogno dunque di una revisione profonda. C’è persino una bacchettata finale sull’uso di termini stranieri: non servono – dicono i magistrati di Palazzo Spada – , usate l’italiano.
C’è poi la questione della sorte dei profili del dna già acquisiti. Che fine faranno con le nuove regole? Potranno essere utilizzati e se si a quali condizioni? Attualmente quelli prelevati sulla scena del crimine o da soggetti indagati sono circa 50 mila e sono custoditi presso tre gabinetti della polizia di Roma, Napoli e Palermo e presso quattro reparti dei Ris carabinieri di Roma, Parma, Messina e Cagliari. Ma i due sistemi non comunicano tra di loro dal momento che utilizzano sistemi di gestione dei profili diversi e non interconnessi. L’investimento ingente finora sostenuto dalle casse dello Stato per creare un’unica struttura promette di superare queste criticità e facilitare per esempio il riconoscimento di oltre 1200 persone i cui resti rimangono ancora non identificati. Quel che è certo è che servirà almeno un decennio per avere a disposizione una banca dati delle dimensioni simili a quelle della Gran Bretagna in cui sono registrate 4,5 milioni di persone e sono schedate ulteriori 450 mila tracce non ancora identificate. E come sempre avviene, a causa dei colpevoli ritardi italiani, incombe il rischio dell’apertura di una procedura di infrazione, anche perchè al regolamento dovranno seguire una serie di decreti attuativi da cui dipende il pieno e regolare adempimento agli obblighi comunitari.