Tsipras vince sempre. Quando, a gennaio, promette ai greci di battersi contro la troika e di rivederne i diktat. Quando, a giugno, li invita a bocciare con un referendum gli accordi che Bruxelles vuole propinare loro. E quando, ora, li chiama a ratificare la sua scelta di tradire le promesse di gennaio e di ignorare il voto di giugno, cedendo alle richieste dei creditori pur di ottenere un terzo salvataggio finanziario da 86 miliardi di euro.
Scelta obbligata, pensano in molti e io fra questi. Ma, allora, perché arrivarci a zigzag? Ci sono tante letture del voto greco. Fra le tante, ce n’è una greca: la sfiducia dei cittadini verso la politica, che si traduce nell’affluenza alle urne bassa – ma non bassissima, se confrontata ad altre democrazie mature, eppur funzionanti – e la mancanza di alternative, perché votare Syriza, il partito di Tsipras, o il centro-destra nulla cambiava, almeno a livello di politica economica, essendo tutte le scelte già scritte nei patti con Bruxelles.
E ce n’è una italiana, che accende subito una lampadina in testa a Renzi, che si riscopre sostenitore di Tsipras e fa sapere – stranamente, a cose fatte – che lui e Alexis sono stati in contatto prima del voto e che lui gli ha subito telefonato ieri sera, appena usciti i risultati. Renzi a gennaio aveva inizialmente abbracciato Tsipras, poi se n’era svincolato man mano che il negoziato tra l’Ue e la Grecia s’incancreniva e gli aveva fatto campagna contro, come tutti i leader europei di “merkeliana osservanza”, alla vigilia del referendum. Salvo poi salutarne con favore la “resipiscenza” al momento dell’accordo con i partner Ue.
Un percorso ondivago, che, essendoci alle spalle, già non conta nulla, nella politica dove contano i fatti e non le idee. Adesso, la lezione di Tsipras che ringalluzzisce Renzi e che magari atterrisce qualcun altro nei suoi paraggi è che se cacci i dissidenti quelli vanno a morire, elettoralmente parlando, e tu ti tieni i loro seggi, che puoi ridistribuire a qualche amichetto nuovo e utile; mentre se li tieni, quelli, elettoralmente, sopravvivono – e tu non hai i loro seggi che restano loro -. Non è un’illazione: il premier lo dice pure alla direzione del Pd, “Chi di scissione ferisce, di scissione perisce”.
C’è, infine, una lettura europea. Ed è che l’Europa s’è già dimenticata della Grecia, è già altrove. Vi ricordate l’ansia delle elezioni di gennaio? E il timor panico del referendum di giugno? Bene, stavolta non c’era nulla del genere: l’esito del voto in Grecia era atteso a Bruxelles e nelle altre capitali europee con la stessa emozione con cui si attende di solito l’esito delle elezioni in Portogallo o in Slovenia.
L’emergenza migranti, i nuovi allarmi sull’economia internazionale, e soprattutto l’accordo di luglio, hanno fatto finire la Grecia in un cono d’ombra. Dopo il voto, Tsipras ha ridetto che “nulla in Europa ora sarà più uguale”. Ma nessuno se n’è emozionato, né i greci né tanto meno gli europei. Tsipras è stato ‘normalizzato’ e ‘omogeneizzato’: di relativamente diverso, gli resta la camicia bianca con le maniche lunghe arrotolate. Lo sa anche lui, che, svegliandosi di soprassalto in piena notte, la fronte imperlata di sudore, grida: “Ho avuto un incubo, vincevo di nuovo le elezioni”. Accade –solo?- in una vignetta di Ekathimerini.