Anche in Italia avremo le immagini choc sui pacchetti: foto della trachea bucata, del polmone nero, dei denti corrosi, di bimbi in pericolo e uomini impotenti. Lo ha annunciato il ministro della salute Lorenzin. L’obbligo delle foto dissuasive fa parte della direttiva europea n.40 del 2014 sul fumo, che stiamo per adottare.
Le immagini choc sui pacchetti di sigarette, che hanno lo scopo di contrastare il fumo, funzionano?
Come spiego spesso su questo blog o ai miei corsi, la comunicazione verbale (le cose dette o scritte) ha un effetto quasi insignificante sul nostro inconscio. Per questo la scritta sui pacchetti “il fumo uccide” si è rivelata insufficiente. Anzi, per giustificare l’incoerenza del comprare qualcosa con una scritta che tradotta potrebbe dire “ma che, sei scemo?”, il fumatore diventava quasi fanatico sostenendo di non voler smettere perché gli piace, e non perché non ci riesce. La dimostrazione l’abbiamo in queste ore: lo spot anti-fumo con l’innocente Nino Frassica che dice “ma che, sei scemo?” ai tabagisti ha sollevato l’ira del fumatore incallito Vittorio Feltri.
Le immagini invece (comunicazione non verbale) producono un effetto molto più profondo. Quindi funzioneranno? Un effetto più profondo, il problema è quale effetto. Un esperimento ce lo rivela.
Se anche le autorità, europee e non, facessero dei test prima di sfornare direttive che influenzano le nostre abitudini, eviteremmo di spendere soldi e tempo inutilmente. Governare basandosi su dati e studi di psicologia cognitiva si chiama nudging (per approfondire il tema vi consiglio Motterlini, La Psicoeconomia di Charlie Brown).
Gli studi dimostrano che le immagini scioccanti sui pacchetti di sigarette non servono a niente. Come illustra Martin Lindstrom nel suo libro Neuromarketing, 2081 fumatori volontari di America, Inghilterra, Germania, Giappone e Repubblica cinese sono stati coinvolti nel più grande e rivoluzionario esperimento di neuromarketing della storia, proprio relativo alle immagini sui pacchetti.
Il neuromarketing è quel ramo del marketing che si occupa delle verità nascoste dietro il modo in cui i messaggi delle marche e dei partiti funzionano sul cervello umano; come il nostro io più vero reagisce agli stimoli e a un livello di gran lunga più profondo rispetto al pensiero cosciente, e come le nostre menti inconsce controllano il nostro comportamento – di solito il contrario di come pensiamo di comportarci. Il metodo usato per scoprire tutto questo è la risonanza magnetica funzionale (fMRI), ovvero il caschetto che vedete in molti documentari, che rileva le aree del cervello che si accendono a seguito di alcuni stimoli (immagini, parole, odori eccetera).
I partecipanti venivano sottoposti a scansione cerebrale per un mese e mezzo. Un piccolo apparecchio riflettente, simile a uno specchietto retrovisore da automobile, proiettava una serie di etichette dissuasive da varie angolazioni, una dopo l’altra, su uno schermo. Durante questa specie di proiezione di diapositive, il volontario doveva dare una valutazione della sua voglia di fumare e segnalare le sue risposte premendo un tasto su una piccola pulsantiera.
Ecco i risultati. Le foto dissuasive sui lati, davanti e dietro e pacchetti di sigarette non avevano alcun effetto restrittivo della voglia di fumare dei fumatori. Zero. In altre parole tutte quelle fotografie scioccanti e i milioni in campagna contro il fumo erano solo un grande spreco di denaro.
Ma la scoperta più sconvolgente arriva dopo. Guardando il comportamento del cervello si è scoperto che le etichette di bocche, polmoni e arti devastati dal fumo in realtà avevano stimolato intensamente un’area del cervello dei fumatori, il nucleus accumbens, detto anche centro del desiderio, che si attiva quando l’organismo desidera qualcosa. Fumo compreso.
Lo studio ha rivelato quindi che le etichette dissuasive non solo non riuscivano a distogliere dal fumo, ma attivando il nucleus accumbens, di fatto incoraggiavano i fumatori ad accendersi una sigaretta.
Invece di contrastarlo, queste etichette sono un formidabile strumento di marketing per le industrie del tabacco. Ministro Lorenzin, consulti più studi e rimetta in discussione il punto della normativa sulle etichette choc. Non abbiamo bisogno di altre spese e leggi inutili, né di alimentare il vizio del fumo.