Un dipinto del XIX secolo firmato Raoul Arus che vale 5 mila euro. Un altro di Ademollo per un valore di 25 mila euro. E una libreria in legno laccato valutata 6 mila euro. Sono i beni di Denis Verdini che sono stati pignorati e rischiano di finire all’asta. Il senatore deve infatti pagare, dal 20 ottobre 2014, 13 mila euro per le spese legali di una causa persa contro il nostro giornale. Ci portò in giudizio per diffamazione per un articolo del febbraio 2011 intitolato: “Onorevole corruzione. Bucchino (Pd) svela l’offerta di Graziani per conto di Verdini: passa nei Responsabili, per te 150 mila euro e la rielezione”. Per ottenere il pagamento, sono intervenuti gli ufficiali giudiziari della Corte d’Appello di Firenze che il 1° luglio scorso hanno pignorato i due quadri e il mobile.Il 29 ottobre ci sarà l’udienza sempre a Firenze per fissare la data dell’asta per quei beni, che in totale valgono 31 mila euro.
“Tanto a pagare sarà il Popolo della Libertà”
Ma Denis Verdini potrebbe anche pagare prima. O meglio lo potrebbe fare il Pdl al suo posto, perché l’articolo fu scritto quando era coordinatore di un partito che non si presenta più alle elezioni ma giuridicamente esiste, in attesa dell’ultima tranche di finanziamento pubblico. “Ora bisognerà sollecitare il Pdl a pagare”, dice al Fatto il legale del senatore, l’onorevole Ignazio Abrignani, che alla Camera è iscritto ora al gruppo di Forza Italia. Abrignani spiega: “Stiamo valutando se fare opposizione. Io ho seguito però solo la causa, la parte aggiuntiva delle spese non l’ho seguita”. Ma lei non aveva comunicato che il Pdl avrebbe pagato il debito di Verdini entro ottobre? “Sì, quello che le posso dire è che all’epoca la difesa venne fatta non in quanto Verdini, ma in qualità di coordinatore del Popolo della Libertà. È chiaro che una volta che c’è una condanna alle spese sarà il Pdl che dovrà pagare”. Anche se Verdini ha lasciato il partito? “Sì, perché l’attacco era all’epoca contro il Pdl”.
Per ogni governo, la sua compravendita
L’articolo per il quale Verdini ha fatto causa al Fatto risale al 25 febbraio 2011. Da un anno si era costituito il gruppo dei Responsabili. Verdini viveva la stessa situazione di oggi: in quei giorni era accusato di andare “a caccia” di parlamentari per sostenere Silvio Berlusconi, ora invece lo fa per Matteo Renzi e la sua riforma del Senato. Nell’articolo si riportavano le affermazioni di Gino Bucchino (Pd) che diceva di aver ricevuto “una telefonata: ‘Ciao Gino, ho un progetto importante di cui parlarti’”. Dall’altra parte c’era, come poi è venuto fuori, Giuseppe Graziani di Rifondazione Socialista. “Mi ha detto – raccontò Bucchino in una conferenza stampa – di aver parlato con Verdini fino alle 2 di notte e di aver concordato di garantirmi la rielezione e di darmi 150 mila euro come rimborso delle spese elettorali. Dissi che non ero interessato”. Vicende smentite da tutti i protagonisti. Per Verdini l’articolo era diffamatorio, ha quindi citato il Fatto ma la sua domanda è stata rigettata dai giudici della prima sezione civile del Tribunale di Roma il 20 ottobre 2014. Nelle motivazioni i giudici scrivono in sostanza che Wanda Marra, l’autrice dell’articolo, si è limitata a “riportare le frasi del deputato senza alcun commento o presa di posizione”. E ancora: “La notorietà e la pari dignità istituzionale del ruolo ricoperto da Verdini e Bucchino (…) è sufficiente a far ritenere correttamente esercitato il dovere di informazione da parte della giornalista, tanto più che costei fattasi anche carico di raccogliere le smentite sia di Verdini che di Graziani, (…) si è comunque prefissa l’obiettivo di rendere un resoconto il più possibile esaustivo della vicenda. Il che esclude che possa ritenersi una dissimulata coautrice della notizia diffamatoria che non aveva alcun obbligo di verificare in ordine alla sua effettiva rispondenza al vero”. Ora vedremo quale sarà l’epilogo: se i beni di Verdini finiranno all’asta o se invece a pagare il conto sarà il Pdl.
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da il Fatto Quotidiano del 20 settembre 2015