Nei giorni scorsi l'ultimo caso con Daraprim, un medicinale sul mercato da ben 62 anni, utilizzato nei casi più gravi di toxoplasmosi ma anche per la cura della malaria e di pazienti con sistemi immunitari compromessi per HIV e cancro, è passato nel giro di una sola notte da 13,50 a ben 750 dollari a pastiglia
E’ bastato un tweet di 21 parole per provocare il crollo dei titoli biotecnologici e far perdere al settore qualcosa come 15 miliardi di capitalizzazione. E’ successo negli Stati Uniti, dopo che la candidata alla presidenza Hillary Clinton ha pubblicato sul suo account Twitter questo messaggio: “La frode sui prezzi dei medicinali è oltraggiosa. Domani esporrò un piano per affrontare il problema”. La risposta dei mercati è arrivata subito. NYSE ARCA, che riunisce i capitali azionari di alcune delle più grandi aziende del settore, ha perso, il 2%, Biotech il 4,3, i titoli Valeant il 6%. Il terremoto è arrivato dopo la notizia che ha occupato le prime pagine dei giornali americani durante lo scorso week-end. Daraprim, un medicinale sul mercato da ben 62 anni, utilizzato nei casi più gravi di toxoplasmosi ma anche per la cura della malaria e di pazienti con sistemi immunitari compromessi per HIV e cancro, è passato nel giro di una sola notte da 13,50 a ben 750 dollari a pastiglia. L’aumento è avvenuto quasi in coincidenza con il passaggio di proprietà: Daraprim è stato infatti acquistato, lo scorso agosto, da Turing Pharmaceuticals, un’azienda lanciata dall’ex-manager di hedge fund Martin Shkreli.
L’aumento ha causato l’indignazione e la preoccupazione di molti medici. “Che cosa è successo per giustificare questo incredibile aumento?”, si è chiesta Judith Aberg, che dirige il settore malattie infettive alla Scuola di Medicina di Mount Sinai. Secondo altri, lo sconsiderato rialzo del prezzo di un medicinale così comune potrebbe costringere molti ospedali a utilizzare terapie alternative e meno efficaci. L’accusa è stata rigettata proprio da Shkreli, che in una serie di interviste ha spiegato di “non voler frodare i pazienti, cerchiamo soltanto di restare sul mercato”. Shkreli, un 32enne con una fama di finanziere brillante e senza molti scrupoli, ha aggiunto che la sua Turing Pharmaceuticals, con gli introiti derivanti dall’aumento del prezzo del Daraprim, cercherà di sviluppare nuove, più adeguate cure per il trattamento della toxoplasmosi. Non tutti sono disposti a credergli. Il finanziere è stato licenziato dal consiglio di amministrazione della compagnia che dirigeva, la Retrophin, con l’accusa di aver gonfiato i prezzi dei medicinali per ripagare i debiti contratti con la gestione degli hedge fund.
La questione del rialzo dei prezzi dei medicinali non è comunque nuova. Da mesi, da anni, parte del mondo politico e medico cerca di porre un argine a un fenomeno che riguarda medicinali per il trattamento di malattie gravi – cancro, epatite C, colesterolo – ma anche generici che sino a qualche tempo fa venivano acquistati senza molti problemi. Ecco qualche esempio. Il Cycloserine, un farmaco utilizzato per trattare forme particolarmente insidiose di tubercolosi, è passato da 500 dollari – ogni 30 pillole – a 10mila e 800 dollari per le stesse 30 pillole. Anche qui l’aumento è avvenuto dopo un passaggio di proprietà e l’acquisto del farmaco da parte di Rodelis Therapeutics. Stessa cosa per due medicinali per il cuore, l’Isuprel e il Nitropress. Acquistati dalla Valeant Pharmaceuticals, sono diventati carissimi, registrando un aumento rispettivamente del 525 e del 212 per cento. Ancora un esempio: un antibiotico, il Doxycycline, che veniva venduto a 20 dollari a confezione nel 2013 e che nell’aprile 2014 costava 1.849 dollari.
Il fenomeno non è quindi nuovo, né tanto meno scoperto da Hillary Clinton, che se ne fa forte, come altri candidati – per esempio Bernie Sanders, negli ultimi mesi molto presente sul tema – in tempi di campagna elettorale per le presidenziali. Da notare anche che, nell’ultimo anno, almeno sei Stati, tra questi New York, hanno adottato misure che costringono le società farmaceutiche a giustificare clamorosi aumenti di prezzo. “Se un medicinale ha un prezzo oltraggioso, il pubblico, le compagnie di assicurazione, i governi federali, statali e locali devono avere accesso alle informazioni che giustificano i rialzi”, è scritto nel preambolo alla legge passata a New York. Le aziende farmaceutiche devono già, per legge, dichiarare regali e pagamenti vari fatti ai medici; in molti casi sono anche tenuti a rendere pubblici i risultati dei loro esperimenti e ricerche.
Giustificare per legge rialzi clamorosi dei prezzi potrebbe dunque essere il prossimo campo di battaglia. Big Pharma, l’industria farmaceutica che in tempi di campagna elettorale finanzia generosamente molti candidati, rifiuta però le nuove, possibili misure “di trasparenza”, spiega che non c’è per forza un rapporto di causa ed effetto tra costi sostenuti per sviluppare un medicinale e il suo prezzo sugli scaffali, infine cita un recente rapporto della Tufts University (peraltro ampiamente finanziata proprio dalle aziende farmaceutiche) secondo cui nel 2014 Big Pharma ha speso una media di 2,6 miliardi di dollari prima di immettere un farmaco sul mercato, contro gli 800 milioni del 2003. Del tutto diversa l’interpretazione di molte associazioni dei consumatori e dottori, che segnalano l’eccessivo gonfiamento dei prezzi. Il costo di un farmaco per curare la sclerosi multipla è cresciuto dai 10mila dollari degli anni Novanta ai 60mila
attuali. La spesa media annuale per i medicinali contro il cancro è di 150mila dollari. Di recente 100 oncologi, dalle pagine della rivista Mayo Clinic Proceedings, hanno denunciato le frodi sui prezzi dei farmaci, chiedendo che il governo federale possa negoziare i prezzi con le aziende e che sia possibile importare medicinali, a prezzi infinitamente più bassi, dal Canada.