Non è la classica biografia dove il giornalista si mette d’accordo con il musicista, bensì un testo esaustivo dal quale emergono la capacità e la determinazione di Agnelli nel far crescere un progetto che nel tempo è divenuto un fenomeno di successo: “Avevo la fortuna di possedere materiale raccolto in 17 anni, per cui ho pensato che sarebbe stato più interessante offrire un’immagine lunga tutti questi anni”. Riguardo alla copertina, “è un volto sdoppiato di Manuel ed è una citazione di una foto che finì sul Mucchio Selvaggio (la rivista musicale su cui Guglielmi ha scritto fino alla diaspora che ha coinvolto molti validi giornalisti tra cui Carlo Bordone, Eddy Cilia, Alessandro Besselva Averame, ndr) agli inizi del 2000, quando gli Afterhours esplosero e Manuel cominciò ad aumentare il numero di nemici e antipatie. Perché dice quello che pensa, è diretto, non gira attorno alle questioni e se ne frega se qualcuno si può risentire. Era il periodo del festival itinerante Tora Tora, per il quale lo crocifissero. Chiacchierando gli dissi scherzando ‘Manuel stanno sempre a metterti in croce!’ e dovendo fare la copertina del Mucchio proposi: ‘perché non ti fai crocifiggere come Gesù?’. Così interpretò il Cristo e uscì una copertina bellissima, anche un po’ ambigua, perché quella dietro è una luna e non un’aureola”.
È una gran fortuna, scrive Manuel Agnelli nella prefazione, ad avere uno come te che “ha raccontato gli eventi come li avrei raccontati io”.
Già perché i ricordi vengono modificati dalla mente, per questo è contento che qualcuno glieli abbia riordinati.
In attesa di una sua autobiografia… Agnelli del resto si è già cimentato nella stesura di un libro.
Sì, anche se è un assemblaggio di storie diverse, racconti post che hanno però una coerenza. È un libro coraggioso, anche un po’ brutale. Manuel è cambiato moltissimo negli anni ma è rimasto una persona speciale con una grandissima carica, voglia di fare e un sano menefreghismo nel farsi condizionare.
Qual è secondo te l’opera principale di Manuel Agnelli?
Hai paura del buio che è un disco importante e cruciale non solo per gli Afterhours, ma per la musica rock italiana in generale. È un disco nato da una serie di disagi, che venne incomprensibilmente rifiutato da tutte le grandi case discografiche, ma che ottenne un grande successo tra il pubblico. Fu un disco catartico, perché c’era qualcosa di cui la band e Agnelli in particolare dovevano liberarsi e l’album riflette quel periodo. È un disco anche ingombrante: tutti, a partire da me, all’uscita di un nuovo lavoro dicevano ‘bello il nuovo disco, ma non sarà mai come Hai paura del buio’. È difficile trovare musicisti che risultino decisivi in più periodi: c’è riuscito David Bowie diventando un’icona del Glam prima e della New Wave poi. In Italia abbiamo Manuel Agnelli.
Un personaggio come Agnelli cos’è che ha apportato al rock italiano?
Credo che in Italia sia mancato l’approccio alla vita rock and roll che ritengo non faccia parte del nostro habitat, ma oggi che c’è la possibilità di viaggiare o di spostarsi più facilmente abbiamo band come i Giuda, i Bud Spencer Blues Explosion che sono band che anche dal punto di vista internazionale fanno bella figura. Il rock un tempo era centrale, ora molto meno. È diventata una delle tante forme musicali di espressione dei giovani e anche meno giovani. Manuel ha lavorato in modo particolare ed efficace con i testi, con la fusione della musica rock degli Afterhours e il cantato in italiano. Ed è stato un modello imitato da molti altri, certo non era l’unico, c’erano anche i Marlene Kuntz che hanno portato avanti un discorso diverso ma affine. È vero che i Marlene sono nati dopo, ma è anche vero che quando hanno iniziato a suonare il loro rock in italiano, quasi contemporaneamente hanno cominciato a farlo anche gli Afterhours che abbandonarono la lingua inglese. E a distanza di anni si può dire che Manuel è stato una figura di rockstar alternativa che a certi livelli di fama e successo in Italia non c’era, a parte Piero Pelù, che ha sempre incarnato una figura di rockstar tipica e credibile. Manuel è una rockstar anni 90, quella se vogliamo meno esagerata in determinate manifestazioni, ma anche più carismatica. Autorevole. E anche in questo è stato un esempio che hanno imitato in tanti.
Su Manuel Agnelli sono state dette e scritte molte cose: perché bisogna leggere questa biografia?
Perché è un libro autentico, il materiale d’epoca non è stato manipolato se non per correggere qualche refuso e c’è dentro un sacco di roba che si trova solo su riviste d’epoca, dunque materiale perso e disperso che forse si può trovare su eBay. Qui si restituisce un quadro di quasi 2 anni, ci sono chicche, conversazioni radiofoniche che erano andate perdute nell’etere e che ora si possono leggere per la prima volta su carta. È un libro che racconta una storia anche in modo approfondito con il mio filtro critico e si restituisce un’immagine che chiunque sia interessato al personaggio, arrivato alla fine del libro, capisce. Perché Agnelli si ritrova perfettamente immortalato in questo libro. Mi son divertito nel costruirlo come un documentario: uno si deve immaginare la voce fuoricampo mentre sullo schermo si vede passare immagini, luoghi, concerti. E poi ci sono inquadrature della telecamera sull’intervistato che racconta in prima persona. È un bel modo per inquadrare le cose ed è piacevole da leggere perché ha più ritmo rispetto a un monologo.
Presentazione domani sera alle 18 al Baladin di Via Solferino 56, a Milano, con Federico Guglielmi, Manuel Agnelli e Niccolò Vecchia (conduttore radiofonico di Radio Popolare).