Al termine di una giornata convulsa che lo ha visto protagonista in veste di indagato, Gianni Zonin non ha fatto passi indietro: continua ad occupare la poltrona di presidente della Banca popolare di Vicenza, mentre già alcuni giorni fa ha invece rassegnato le dimissioni dal comitato esecutivo dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana il cui nuovo statuto prevede la decadenza dagli incarichi in caso di provvedimenti restrittivi della liberà personale o la sospensione preventiva per casi di “eccezionale gravità”. Al loro posto, almeno per ora, restano anche due consiglieri d’amministrazione in carica dell’istituto vicentino – Giovanna Maria Dossena e Giuseppe Zigliotto – indagati per aggiotaggio e ostacolo all’attività di vigilanza in concorso con Zonin, l’ex direttore generale Samuele Sorato e i due ex vicedirettori Andrea Piazzetta ed Emanuele Giustini. Al centro delle accuse le notizie false e gli “artifici concretamente idonei ad incidere in modo significativo sull’affidamento riposto dal pubblico” nella stabilità patrimoniale del gruppo bancario vicentino e i finanziamenti erogati ai soci per l’acquisto e la sottoscrizione delle azioni della stessa banca.
Le notizie false, a quanto si apprende, riguarderebbero soprattutto le comunicazioni effettuate al pubblico riguardo ai requisiti patrimoniali di vigilanza, “contenenti mendaci indicazioni circa l’ammontare dei suddetti requisiti” relativamente agli anni 2012, 2013 e 2014. Per quanto riguarda gli acquisti di azioni, la procura di Vicenza contesta quanto emerso dalle ispezioni della Bce, ossia le violazioni di legge tra cui l’omessa iscrizione al passivo di una riserva indisponibile di pari importo: queste partite di giro, infatti, hanno avuto l’effetto di incrementare fittiziamente il capitale della banca di circa un quarto del suo valore. Ma non c’è solo questo: secondo gli inquirenti, gli indagati avrebbero anche assunto nei confronti di alcuni soci l’impegno scritto al riacquisto delle azioni, sottolineando così la natura fittizia dell’operazione, volta esclusivamente a far apparire la banca più solida e capitalizzata di quel che era in realtà. Tra i soci beneficiari di questo trattamento “privilegiato” ci sarebbero i fondi d’investimento di diritto maltese Athena, Optimum Multistrategy1 e Optimum Multistrategy2 che, secondo quanto rivelato da L’Espresso, fanno capo al finanziere Alberto Matta e al suo collaboratore Girolamo Stabile, gestore dei fondi maltesi e vicepresidente della holding romana Methorios che ha fatto diverse operazioni con la Popolare di Vicenza e che ha incrociato anche il destino di un’altra banca finita male, la Banca Popolare dell’Etruria.
Le indagini, come ha ammesso il procuratore di Vicenza Antonino Cappelleri, sono solo nelle fasi preliminari e dunque non si può certo escludere che con il passare delle settimane il fascicolo si arricchisca di nuovi particolari e di nuovi indagati. Sul fronte dei controlli, le defaiances ricordano quelle del caso Parmalat ma sono persino più gravi trattandosi di una banca per di più di grandi dimensioni. Incredibilmente la Banca d’Italia non si è accorta di nulla e ha anzi venduto a caro prezzo (9 milioni di euro) la sua sede di Vicenza proprio alla popolare presieduta da Zonin. Nessuno ha dato segno di accorgersi dei problemi patrimoniali e di liquidità che affliggevano l’ottava banca italiana, nessuno si è curato di come la Vicenza si procurava i quattrini, né del prezzo esorbitante delle azioni. E quando queste cose sono state denunciate – i primi esposti circostanziati risalgono addirittura al 2008, a presentarli fu l’Adusbef – nessuno ha mosso un dito. Nel 2013 Giambattista Duso, commissario straordinario di Bene Banca, nonché amministratore delegato di Marzotto sim, società di intermediazione mobiliare legata a filo doppio alla Banca popolare di Vicenza, ha girato di punto in bianco una cinquantina di milioni su un conto presso la popolare vicentina: una somma enorme per il piccolo istituto di credito cooperativo di Bene Vagienna, somma ben superiore al 25% del patrimonio prudenziale. Inutile dire che per la banca di Zonin era un momento molto difficile e che la Banca d’Italia non ha avuto nulla da eccepire su questa così come su altre operazioni del commissario che è stato denunciato in sede penale (e con lui il governatore Ignazio Visco, la prima udienza si terrà a novembre) dall’ex presidente di Bene Banca, Francesco Bedino.
Nei confronti della Banca d’Italia e della Consob, anch’essa responsabile per la sua parte, le associazioni dei risparmiatori stanno affilando le armi e chiamano a raccolta azionisti e obbligazionisti della Popolare di Vicenza per una class action oltre che per costituirsi parte civile all’eventuale processo. Se le autorità di controllo non hanno visto e fatto nulla per anni, potevano forse accorgersi di qualcosa i poveri revisori di Kpmg e il collegio sindacale? Certo che no, e infatti nei bilanci recenti e passati della Popolare di Vicenza non c’è traccia di rilievi: tutto perfetto. E che dire dei consiglieri d’amministrazione? Possibile che in tutti questi anni non siano stati sfiorati dal dubbio?
Mentre gli azionisti popolare di Vicenza iniziano a rendersi conto che nei loro confronti il “bail in” è scattato ben prima del 2016 e che il taglio del 23% del valore delle azioni operato all’ultima assemblea era solo un piccolo assaggio di ciò che li aspetta, viene naturale domandarsi come possa recuperare fiducia presso il pubblico una banca che tiene salde sulle loro poltrone figure apicali come il presidente Zonin che sono tra i principali artefici di questo disastro. E non solo lui: nel consiglio ci sono due indagati per gli stessi reati (e altri forse si aggiungeranno), il collegio sindacale è formato dalle stesse persone che nulla hanno visto e i revisori sono gli stessi di sempre. Se non si può perdere nemmeno un istante per fare tabula rasa di chi per anni ha approvato bilanci fasulli, significa forse che la situazione di Vicenza è ben più grave di come sia stata finora dipinta.