Il governatore ha risposto a un'interrogazione del consigliere Giovanni Donzelli spiegando che la finanziaria Fidi Toscana si insinuerà al passivo della società, dichiarata fallita nel 2013. E ha già chiesto indietro una somma pari a due volte la garanzia di 34.951 euro, concessa senza che la Chil ne avesse diritto
La garanzia che le era stata concessa era irregolare. Per questo la regione Toscana si sta ora rivalendo sulla Chil Post, la società di Tiziano Renzi – padre del premier – dichiarata fallita nel 2013 dal tribunale di Genova. A rivelarlo è stato il governatore Enrico Rossi, rispondendo a un’interrogazione del consigliere regionale Giovanni Donzelli (FdI) su “i debiti della famiglia Renzi e il coinvolgimento del padre di Luca Lotti”. Rossi ha spiegato che lo scorso 5 maggio gli uffici della giunta hanno chiesto alla finanziaria regionale Fidi Toscana di revocare l’agevolazione concessa sotto forma di garanzia. La sede dell’azienda era stata infatti trasferita in Liguria senza comunicarlo, mentre l’aiuto è riservato alle imprese toscane. Il 27 luglio Fidi Toscana ha risposto di “essere in procinto di revocare l’aiuto”, pari a 34.951 euro, chiedendo che sia restituita una somma raddoppiata a titolo di sanzione.
La finanziaria regionale ha preso contatto con il curatore fallimentare dell’azienda, sulla quale la Procura di Genova ha aperto un fascicolo iscrivendo nel registro degli indagati Renzi senior con l’accusa di bancarotta fraudolenta, per procedere “all’insinuazione del passivo, come da normativa”. Nell’estate 2013, Fidi Toscana ha dovuto versare 263mila euro alla Bcc di Pontassieve per coprire l’80% dell’esposizione di Chil Post, che nel 2009 aveva ottenuto un mutuo grazie al parere positivo redatto dal padre di Luca Lotti.
Rossi ha spiegato che dalle verifiche svolte dagli uffici regionali risulta che l’impresa e la banca finanziatrice avevano comunicato il passaggio di quote sociali con raccomandata del 7 gennaio 2011, ma la raccomandata non risultava pervenuta ed è stata acquisita da Fidi Toscana solo il 5 luglio 2013. “Sulla base del regolamento vigente i requisiti di ammissione sono oggetto di verifica da parte di Fidi Toscana al momento della domanda di garanzia”, ha detto il presidente della Regione. “Verifica regolarmente svolta”. E da cui emerso, appunto, che la Chil non aveva più diritto all’aiuto, riservato alle imprese toscane.
Sul fatto che il parere relativo alla concessione del mutuo sia stato redatto da Marco Lotti, Rossi ha ribadito che “la gestione delle singole pratiche è demandata alle strutture tecnico-amministrative e il loro vaglio è fatto indipendentemente dai nomi e cognomi dell’imprenditore o da quello del funzionario di banca. Non si può parlare quindi di forzature o favoritismi dal momento che i criteri sono uguali per tutti”.
Donzelli ha affermato che “la Regione Toscana ha chiesto di fatto che la famiglia Renzi restituisca i 263mila euro di debiti coperti con una garanzia concessa da Fidi Toscana. Questo significa che la famiglia Renzi, tramite l’azienda Chil, ha tentato di truffare le istituzioni: grazie alle nostre denunce si avvia un percorso che dovrà riportare i soldi nelle casse pubbliche”. La Regione Toscana “è una vittima ed è importante chiedere la restituzione di quanto concesso, anche ricorrendo alle vie legali, in quanto parte lesa, visto che c’è un processo in corso”. Donzelli ha poi osservato che “il passaggio di titolarità da femminile a maschile (con la titolarità femminile la quota concedibile aumentava all’80% anziché al 60%) doveva essere comunque noto a Fidi perché il contratto del mutuo, che deve essere allegato alla pratica, è firmato da Tiziano Renzi” e che “lo stesso trasferimento a Genova è stato fatto da Renzi padre prima della cessione”. “L’azienda del padre del presidente del Consiglio non ha rispettato le regole – ha concluso – e questo è grave. Questi soldi vanno restituiti ai cittadini”.
Aggiornamento dell’1 agosto 2016 – In data 30 luglio 2016 l’inchiesta per bancarotta a carico di Tiziano Renzi, nell’ambito del fallimento della Chil Post, è stata archiviata. Nelle motivazioni del gip del tribunale di Genova Roberta Bossi si legge che Renzi padre “non operò come socio occulto dopo la cessione del ramo d’azienda della Chil Post”. La bancarotta “fu determinata da altri” e “la cessione del ramo d’azienda non ha determinato la diminuzione del patrimonio ai danni dei creditori”.