Un nuovo studio traccia il percorso per una decarbonizzazione delle economie dei Paesi responsabili della maggior parte delle emissioni globali.

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Limitare il riscaldamento globale entro i 2°C rispetto ai livelli preindustriali è ancora possibile, e senza sacrificare crescita e sviluppo economico: è questo il messaggio che emerge dal ‘Deep Decarbonization Pathways Project’ (Ddpp), un programma di ricerca su scala globale coordinato dal Sustainable Development Solutions Network (Sdsn) e dall’Institute for Sustainable Development and International Relations (Iddri) di Parigi, i cui risultati sono stati resi pubblici il 17 Settembre.

Il progetto ha visto la collaborazione di 16 team di scienziati ed esperti appartenenti ad altrettanti Stati, responsabili del 74% delle emissioni di gas serra nel settore energetico a livello mondiale. Tra questi figurano sia Paesi industrializzati quali Italia, Stati Uniti, Canada e Germania, sia economie emergenti come Cina, India, Brasile e Messico. L’obiettivo: sviluppare scenari di riferimento per una massiccia decarbonizzazione delle economie nazionali entro il 2050, ossia una transizione verso un sistema economico in cui le emissioni di anidride carbonica si attestino su livelli drasticamente inferiori rispetto a quelli attuali, tali da permettere di contenere il riscaldamento del pianeta entro i 2°C (valore considerato dalla comunità scientifica come la soglia da non oltrepassare per evitare gli impatti più severi dei cambiamenti climatici). I diversi gruppi di ricerca hanno quindi analizzato come i sistemi energetici ed economici dei rispettivi Paesi dovranno evolvere nei prossimi decenni al fine di conseguire una riduzione delle emissioni di CO2 legate al settore energetico che in aggregato si prospetta essere del 48-57% rispetto ai livelli del 2010, corrispondenti ad una diminuzione media dell’87% delle emissioni per unità di Pil.

Tre le componenti fondamentali sulle quali si basa il processo di decarbonizzazione: efficienza energetica, elettricità e combustibili a bassa impronta di carbonio e transizione a fonti di energia pulita in tutti gli usi finali. Secondo quanto affermato da Jeffrey D. Sachs, direttore del Sdsn, “se gli Stati perseguono questi tre obiettivi il riscaldamento globale può essere mantenuto entro i 2°C usando tecnologie attualmente disponibili o che verranno pienamente sviluppate entro l’orizzonte temporale considerato”. Non solo: il punto forse più interessante messo in luce dal Ddpp è che la trasformazione delle infrastrutture necessaria per una transizione ad un’economia a basso contenuto di carbonio non richiederebbe costi aggiuntivi significativi, ma sarebbe anzi in grado di coniugarsi con sviluppo economico, riduzione della povertà e innalzamento della qualità della vita. In che modo dunque è possibile trovare le risorse economiche necessarie per cambiamenti strutturali di tale portata? Secondo lo studio, la chiave risiede in un deciso trasferimento degli investimenti dal settore delle fonti fossili a quello delle energie rinnovabili e delle tecnologie a basso contenuto di carbonio.

Nel quadro di questo panorama mondiale, quali sono le prospettive per l’Italia? Come evidenziato da Maria Rosa Virdis, ricercatrice dell’Enea e coordinatrice del team di ricerca italiano, la sfida della decarbonizzazione entro il 2050 appare particolarmente impegnativa nel nostro Paese, a causa di fattori quali le difficoltà legate allo sviluppo di alcuni tipi di fonti di energia rinnovabile – come l’eolico off shore – ed un quadro normativo che spesso non facilita gli investimenti nel settore dell’energia pulita. Tuttavia, i diversi scenari sviluppati indicano come una transizione ad un modello low-carbon avrebbe conseguenze positive sull’attività economica. “Vorremmo sfatare il mito che una riduzione incisiva delle emissioni comporti una forte perdita in termini di crescita e competitività”, afferma la ricercatrice. “I modelli utilizzati mostrano in realtà come la competitività aumenti e l’effetto netto sulla bilancia commerciale sia positivo. Il processo di decarbonizzazione non implica necessariamente una perdita economica complessiva, ma la redistribuzione delle risorse e degli investimenti in settori diversi rispetto a quelli attuali”.

Lo studio sottolinea appunto come tale processo avrebbe ripercussioni positive sulla bilancia commerciale grazie alla diminuzione della dipendenza dalle importazioni di fonti fossili, che nel 2011 ammontavano a oltre l’80% del fabbisogno energetico nazionale. Nei diversi scenari di decarbonizzazione, infatti, viene ipotizzato un incremento significativo della quota di fonti di energia rinnovabile nel mix energetico italiano fino a livelli del 60-70% nel 2050, da conseguire attraverso incentivi e politiche mirate e un aumento degli investimenti nella ricerca e sviluppo di nuove tecnologie.

Appurata la fattibilità tecnologica ed economica di un futuro a bassa intensità di carbonio, l’ostacolo maggiore sembra rimanere sul piano politico. In tal senso, la strada tracciata dal Ddpp appare particolarmente rilevante non solo in vista della conferenza mondiale sul clima che avrà luogo a Parigi in dicembre, ma anche e soprattutto per fornire un orizzonte strategico di lungo periodo spesso assente o trascurato nelle negoziazioni internazionali. Come affermato da Sachs, “gli scenari delineati dal Ddpp possono fornire una cornice di riferimento per le strategie di riduzione delle emissioni di più breve periodo, indirizzando innovazione tecnologica, mercati finanziari e processo politico verso una trasformazione del settore energetico su scala globale”.

Riccardo Rossella, referente relazioni internazionali  Italian Climate Network

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