Processo con rito abbreviato per Michele Buoninconti. L'udienza si svolge a porte chiuse, il vigile del fuoco è presente in aula. Familiari chiedono risarcimento di due milioni di euro
Trent’anni di carcere per Michele Buoninconti. E’ questa la richiesta del pm di Asti Laura Deodato al processo con il rito abbreviato nei confronti del vigile del fuoco di Alba accusato dell’omicidio e dell’occultamento del cadavere della moglie, Elena Ceste. La 37enne di Torino, madre di quattro figli, scomparve dalla sua casa di Costigliole d’Asti il 24 gennaio 2014 e i suoi resti vennero trovati non lontano in un canale di scolo nelle campagne di Isola d’Asti, il 20 ottobre dello stesso anno. Dopo un’indagine lunga nove mesi i carabinieri guidati dal colonnello Fabio Federici sono arrivati all’arresto del marito che si è sempre dichiarato innocente. Il dibattimento si svolge a porte chiuse, Buoninconti, difeso dagli avvocati Enrico Scolari e Giuseppe Marazzita, è presente nell’aula del Tribunale di Asti. Così come i genitori di Elena, Franco e Rita, insieme con i loro legali, Deborah Abate Zaro e Carlo Tabbia, che hanno chiesto un risarcimento di due milioni di euro.
Dopo la requisitoria del pm e la discussione delle parti civili il gup Roberto Amerio ha aggiornato l’udienza al prossimo 7 ottobre in cui parleranno i difensori di Buoninconti. Non è escluso che in quella sede Buoninconti possa fare dichiarazioni spontanee. Fissata poi l’udienza del 4 novembre per eventuali repliche e sentenza.
Secondo l’accusa, Elena Ceste è stata uccisa la stessa mattina in cui il marito ne denunciò la scomparsa. Quel giorno i vicini raccontano di aver visto la donna nel giardinetto della villetta, vestita con abiti leggeri, spaesata. Quando Michele Buoninconti torna a casa alle 9, dopo aver accompagnato i figli a scuola, dà l’allarme. Elena si sarebbe allontanata a piedi, senza portare con sé gli occhiali da vista né i documenti.
Una versione che da subito convince poco. I militari dell’Armainiziano a setacciare la zona in cerca di tracce. Ma si imbattono solo in piste morte e false segnalazioni che arrivano da Torino o addirittura da lontano, da Tenerife. Il marito suggerisce agli investigatori di scavare nella vita privata della moglie. Il 20 ottobre, la svolta: le campagne di Isola d’Asti restituiscono alcuni resti umani. Ci vuole però il test del dna per essere certi che quel cadavere appartenga ad Elena. Il 23 ottobre arriva la conferma.
Il giorno dopo cambia la posizione del marito che viene iscritto nel registro degli indagati per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Lui continua a giurare la sua innocenza. Tira in ballo altri uomini con cui Elena ha avuto rapporti. I carabinieri setacciano i contatti della donna, scandagliano la sua presunta doppia vita. Da lì emergono sei uomini con cui Elena ha scambiato messaggi e telefonate. Ma i loro alibi reggono. E i carabinieri si convincono che nessuno di loro ha avuto un ruolo nella sua morte. Ma forse è proprio dietro questa linea d’ombra di relazioni che si nasconde il movente dell’omicidio di Elena, analista chimica di Torino, che aveva deciso di lasciare il suo lavoro e trasferirsi insieme al marito nelle campagne dell’Astigiano per crescere i suoi quattro figli.