“Vorrei chiedervi di allacciarvi le cinture perché stiamo decollando davvero. Stiamo rimettendo il Paese a correre come deve correre perché il Paese deve farlo”, diceva Renzi alla presentazione del marchio di Alitalia un anno fa. Le dimissioni dell’ad Silvano Cassano hanno messo di nuovo in evidenza una situazione ancora critica dell’Alitalia. Dopo il primo tentativo fallito dei “Capitani coraggiosi”, ora neppure il matrimonio con il super vettore arabo Etihad sembra aver calmato le acque in casa Alitalia.
L’incendio di un condizionatore per raffreddare l’aria ha mandato in fumo 80 milioni di euro (cifra forse gonfiata dal dimissionario Cassano), ma ciò non basta per spiegare la grave situazione finanziaria della compagnia che, nei primi sei mesi dell’anno, ha già perso 130 milioni. Altro che profitti dal 2017, come era stato promesso. Si è arenato il piano industriale che doveva rilanciare il vettore e che avrebbe dovuto puntare sullo sviluppo globale attraverso le rotte intercontinetali, in particolare verso l’Asia e l’America Latina. Intanto il forte aumento di traffico degli scali di Doha, Abu Dhabi e Dubai verso l’Europa è avvenuto ad appannaggio dei vettori arabi, a spese dell’Alitalia, contribuendo alla riduzione del numero di passeggeri trasportati nel 2014 del 3,6%, traffico che sarà difficile da recuperare.
Ripartita con tutti gli auspici del caso e gli aiuti pubblici da vecchio monopolista (negli ultimi 40 anni ci era costata 7,4 miliardi), ora la ripartenza si è già impantanata. Tutte le richieste di Etihad per il matrimonio erano state accolte. Il vettore si è visto cancellare mezzo miliardo di debiti, allungare di 4 anni, per migliaia di addetti, la Cassa integrazione (pagata con una tassa di imbarco di 5 euro dei passeggeri in partenza dagli scali italiani). La nuova compagnia ha potuto colonizzare Linate, con il decreto Lupi, ai danni della concorrenza e ha fatto mettere in frigorifero Malpensa sempre più sotto utilizzata.
Con le dimissioni di Cassano, ritornano a galla i vecchi problemi di Alitalia che sembra puntare tutto sulla nuova livrea e sulle nuove uniformi del personale, anziché badare al sodo, ristrutturando le attività di manutenzione (Alitalia Mantenance System) invece di trasferire, motori in tutto il mondo a costi esorbitanti alle compagnie concorrenti. Soprattutto il conflitto di interesse emerso con le proteste di Cassano verso l’inefficienza degli aeroporti di Roma dopo l’incendio estivo ha fatto esplodere le contraddizioni latenti all’interno della società. Il gruppo Benetton infatti controlla l’Adr ed è azionista di Alitalia. Tacere o protestare contro se stessi? Così ad un anno dalla ripartenza, Alitalia deve lanciare un bond da 375 milioni per sopravvivere, ma questa volta le banche azioniste (Unicredit ed Intesa) vorranno vederci chiaro in tale evidente conflitto tra soci. La strada è ancora in salita. La soluzione che si profila non sarà industriale, ma dovrà ancora una volta metterci mano il governo. Alla faccia del matrimonio felice con gli Arabi.