L'agenzia di rating ha visto al rialzo di 0,2 punti percentuali le sue previsioni perché l'andamento della prima metà dell'anno è stato "più forte delle aspettative". Tra i rischi per il merito di credito della Penisola anche l'eventualità che sia necessaria "una significativa ricapitalizzazione delle banche da parte del governo"
Moody’s ha rivisto al rialzo le stime sul Pil dell’Italia, portandole rispettivamente a +0,7% per il 2015 e +1,2% per il 2016. In precedenza le previsioni erano rispettivamente dello 0,5 e dell’1%. Il rapporto dell’agenzia di rating spiega che “la crescita economica nella prima metà del 2015 è stata più forte delle aspettative”. Le nuove stime sono comunque inferiori al +0,9% e +1,6% previsti dal governo per quest’anno e il prossimo nella nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza. Tra i fattori di rischio, gli analisti elencano un eventuale “deterioramento” della ripresa dovuto alla mancata implementazione delle riforme strutturali e “la necessità di una significativa ricapitalizzazione delle banche da parte del governo”.
Il report spiega poi che l’attuale merito di credito della Penisola potrebbe essere migliorato “in presenza di un rafforzamento delle prospettive di crescita dell’economia innescato dalla corretta attuazione della riforma del mercato del lavoro“, il Jobs Act. Un altro fattore positivo potrebbe essere una “inversione sostenuta” della traiettoria al rialzo del rapporto debito/Pil degli ultimi anni. L’esecutivo si aspetta che la proporzione si attesti quest’anno al 132,8% e nel 2016 inizi a calare, per la prima volta dal 2007, scendendo al 131,4%. Gli analisti sono più pessimisti sull’andamento nel breve termine: per il 2015 prevedono un debito al 133,5%, che dovrebbe essere il picco massimo. Poi si attendono una graduale discesa fino a “circa il 127% del Pil entro il 2019”.
Per l’agenzia, come emerso la settimana scorsa, il taglio delle tasse sulla prima casa messo in cantiere dal governo Renzi è un fattore negativo, perché si tratta di un’imposta che vale circa 4 miliardi ed è “una fonte relativamente stabile di entrate e anche meno distorsiva di altre tasse”.