La comunicazione formale avverrà durante il vertice con Barack Obama. Usa e Cina, che non hanno mai aderito a Kyoto, trovano così un terreno comune che aiuta soprattutto il presidente Usa nello scontro con i repubblicani
La Cina si impegnerà a lanciare un sistema di “crediti carbonio” – cap-and-trade – per controllare le proprie emissioni di CO2. L’annuncio, scrivono i giornali americani, verrà dato prima del summit tra Xi Jinping e Obama alla Casa Bianca. Già avviato sperimentalmente in diverse regioni cinesi, il sistema utilizza leggi di mercato per combattere l’emergenza ambientale. In pratica, stabilite delle quote di emissioni, le zone che ne producono meno possono vendere i propri “diritti a inquinare” a chi invece sfora i limiti. Se ci sarà un seguito alla promessa, la Cina diventerà così il più grande mercato di crediti al mondo, spodestando l’Unione Europea. Pechino dovrebbe anche impegnarsi in un sostanziale impegno finanziario per sostenere le economie più povere nella lotta al cambiamento climatico.
Che l’anticipazione venga dagli statunitensi e non dai diretti interessati cinesi si spiega con il fatto che Obama ha urgenza di spuntare le armi a quei repubblicani che criticano ogni scelta ambientale dell’amministrazione dicendo che “altri” – cioè la Cina – non fanno nulla per la salvare il pianeta. Comunque sia, l’annuncio è il miglior viatico per la conferenza sul clima di Parigi di dicembre e le due superpotenze possono sbandierarlo come biglietto da visita. Adesso, Cina e Usa – che mai hanno ratificato il protocollo di Kyoto – cercheranno di coinvolgere altri Paesi in un progetto di controllo delle emissioni di lungo periodo e, soprattutto, di proprio gusto.
In Cina sono già sette i programmi regionali di scambio delle emissioni, ma i prezzi variano dall’una all’altra zona e non è ben chiaro se stiano funzionando e quanto. Il nuovo sistema unificato dovrebbe coinvolgere i settori energetico, siderurgico, chimico, dei materiali da costruzione – leggi “cemento” – della carta e dei metalli non ferrosi; praticamente le principali industrie inquinanti della Cina.
Al vertice Apec del novembre 2014, la Cina si era impegnata a raggiungere il picco delle proprie emissioni di CO2 per il 2030 per poi iniziare la discesa. Entro quella data, aveva anche promesso di aumentare fino al 20 per cento la quota di combustibili non fossili nel proprio mix energetico.
Successivamente, un think tank legato al governo di Pechino, l’Istituto di Ricerca Energetica (Ire), aveva calcolato che per adempiere all’impegno la Cina avrebbe dovuto raggiungere il picco del consumo di carbone entro il 2020 ed effettivamente molte fabbriche e centrali energetiche non efficienti sono state chiuse.
Un rapporto della US Energy Information Administration (EIA) appena pubblicato, rivela che in Cina, tra il 2000 e il 2013. il consumo e la produzione di carbone sarebbero cresciuti rispettivamente del 14 e del 7 per cento. Nel 2014, il consumo sarebbe invece rimasto più o meno inalterato, mentre la produzione sarebbe addirittura scesa del 2,6 per cento. Segno di un rallentamento dell’economia, certo, ma anche di un cambio di paradigma.
Secondo un sondaggio del Pew Research Center – noto think tank statunitense – l’inquinamento è al secondo posto, dopo la corruzione, tra le preoccupazioni che più affliggono i cinesi. Precede diseguaglianza, crimine, carovita, sicurezza alimentare, che peraltro può essere vista come una variabile dell’inquinamento stesso. Questa lista ci restituisce con chiarezza le priorità della leadership cinese. Se la campagna anticorruzione continua martellante e indefessa, Xi Jinping ha inserito nell’agenda del suo tour americano il problema numero due, quello su cui è per altro più facile fare annunci congiunti con gli Usa. O, addirittura, lasciando a Obama & Co l’onore dell’anticipazione.
Che il clima sia un terreno comune su cui Cina e Usa possono ritrovarsi, mentre restano per esempio distanti su temi come geopolitica e diritti civili, lo avevano rivelato altri segnali. Durante un vertice a Los Angeles, proprio alla vigilia del viaggio di Xi, Pechino e altre dieci città cinesi avevano comunicato di voler raggiungere il picco delle proprie emissioni di gas serra già nel 2020 – un decennio prima del target precedente – mentre Seattle, una dozzina di altre aree metropolitane Usa e l’intero Stato della California si erano impegnate a diventare “carbon neutral” entro il 2050, con tagli dell’80 per cento delle proprie emissioni. Altro annuncio congiunto.
La Cina deve continuare a crescere in un contesto sia interno sia internazionale stabile e pacifico per dare prosperità a un miliardo e trecento milioni di persone. È il “sogno cinese” – slogan coniato da Xi Jinping – di una xiaokang shehui: “società del benessere moderato”, altro slogan del presidente. È un benessere apparentemente non solo economico e anche lo scambio dei crediti carbonio rientra in questo disegno.
di Gabriele Battaglia