Il nome dell’evento è senza dubbio simpatico. Gli “Appy Days” di Todi lasciano un sorriso a chi li pronuncia e regalano l’illusione che le tecnologie (e le relative “app”) possano realizzare i sogni di chi ha una buona idea.
Tra i tanti chiamati a parlare, è toccato in sorte anche a me, colpevole forse di essere cresciuto utilizzando strumenti digitali e di essere approdato a Internet insieme a quelli che non hanno dovuto aspettare il Web per conoscere il brivido dell’interconnessione globale.
Oggi alle 14.30 non si parlerà dei “soliti” crimini informatici (anche se qualche fugace cenno non potrà mancare visto che truffe e inganni non mancano mai in rete, ma si affronterà a giro d’orizzonte lo scenario cui si trova dinanzi un imprenditore che decide di salpare virtualmente verso i mercati internazionali.
La vetrina telematica può effettivamente rappresentare una svolta significativa per il rilancio dell’economia – drammaticamente sofferente a dispetto delle entusiastiche dichiarazioni di chi governa – ma impone un approccio professionale che a tutt’oggi poche realtà sono state capaci di assumere.
Un vecchio guru della comunicazione commerciale, Ron Amram, diceva che una campagna promozionale televisiva era paragonabile allo spiegamento dell’aeronautica militare in un conflitto e consentiva di bombardare a tappeto il proprio obiettivo. Lui stesso non ha mai fatto mistero della necessità di esser pronti a cambiare opinione ed evolvere senza restare inchiodati a vecchi schemi che, funzionanti un tempo, potevano rivelarsi non più così efficaci.
La possibilità di fare ricerche sul web e i messaggi promozionali veicolabili sui display dei dispositivi connessi online hanno cambiato le regole del gioco. Qualche anno fa si è scoperto il “programmatic advertising” e la conseguente – forse banale – possibilità di calibrare le inserzioni a misura di consumatore individuale, assistendo ad un mutamento epocale delle dinamiche di contatto con la clientela.
Software particolari sono in grado di “vivisezionare” chi naviga in rete e i cookies (i biscottini più indigesti cui va incontro il cybernauta) ingrassano il profilo di chi è potenziale preda di questo o quell’inserzionista: scappare dalla pubblicità mirata è impresa davvero ardua e a poco servono i provvedimenti normativi a tutela della privacy.
Ma, senza far ricorso a strategie scorrette, aggressive ed invasive, si può sfruttare un sito web per farne qualcosa di diverso di una variopinta brochure digitale o di un sempre aggiornato depliant di economica realizzazione e immediata diffusione. Per poterlo fare è necessario acquisire capacità di committenza, la stessa che ciascun piccolo imprenditore applica quotidianamente nello scegliere materie prime e semilavorati o nell’individuare partner e collaboratori.
Sul fronte di Internet, purtroppo, una certa leggerezza caratterizza i rapporti con gli interlocutori: la scarsa conoscenza dei contesti telematici e di quelli antropologici correlati porta ad affidarsi a bravi webmaster che in un’arena come quella odierna sono insufficienti per toreare da grandi matador del business. E’ indispensabile sapere a cosa si va incontro, magari cominciando a scoprire che larga parte del traffico in Rete è generato automaticamente da quelle micidiali soluzioni chiamate “bot”, vezzeggiativo dei “robot” informatici che cliccano “mi piace”, retweettano ed eseguono altre mille operazioni cicliche simulandone una attivazione umana.
Come avrebbero detto i fratelli Cohen, Internet “non è un paese per vecchi”. Ma quel “vecchi”, a differenza di quel che dicono farneticanti rottamatori, non fa riferimento all’età anagrafica perchè il mondo è pieno di teenager dalle connotazioni geriatriche.
L’elisir di lunga vita è nel sapersi adattare, nel continuare ad essere curiosi, nell’immaginare di fare qualcosa di nuovo domani, nel continuare ad avere traguardi. Come diceva Frankestein Junior, “si può fare”.
Twitter: @Umberto_Rapetto