Musica

Negramaro, “La rivoluzione sta arrivando”? Mica tanto. Ecco il nuovo album della band salentina

Il comunicato che accompagna il nuovo album parla di classico, e in effetti qualcosa che potrebbe far pensare alle caratteristiche dei classici c'è, nelle dodici canzoni della tracklist, tredici con la ghost-track. I brani suonano esattamente come uno si immagina dovrebbe suonare un album dei Negramaro: un classico, quindi, se non fosse che la qualità delle canzoni non giustifica i cinque anni passati, né la registrazione in giro per il mondo

di Michele Monina

Per parlare di La rivoluzione sta arrivando, nuovo atteso album dei Negramaro, assenti dalle scene con un lavoro di inediti da cinque anni, prendo in prestito lo stile di Matt Groenig, autore dei Simpson. No, non intendo fare un articolo ironico e comico, intendo proprio usare il suo modo di procedere nella narrazione. Avrete tutti presente, ogni puntata dei Simpson comincia parlando di un argomento che ruota attorno alla famiglia gialla di Springfield, e poi, di colpo succede qualcosa e la trama affronta tutta un’altra storia.

Ieri c’è stata la conferenza stampa di lancio di La rivoluzione sta arrivando dei Negramaro. Ecco, io voglio partire parlando di Campovolo 2015, il concerto con cui Ligabue ha festeggiato i suoi 25 anni di carriera. Non vi sarà sfuggito che, una volta terminata quell’esperienza, i social sono esplosi di odio nei confronti del cantautore di Correggio. Tutti lì ad accusarlo di non saper suonare, di essere in grado di scrivere canzoni con solo due, massimo tre accordi, come se fosse facile scrivere canzoni con pochi accordi o come se fosse un difetto usare pochi accordi, in barba alla storia decennale del rock e del blues. Tutti a dirgli che le sue canzoni sembrano tutte uguali. A un certo punto appare su Facebook un meme. Recita: se vi lamentate che le canzoni di Ligabue sono tutte uguali, provate a ascoltare quelle dei Negramaro.
Fine dell’incipit.
Succede qualcosa.
Inizia la storia vera e propria.

La rivoluzione sta arrivando.
Questa parte dell’episodio dei Simpson che state leggendo inizia con le prime parole del comunicato stampa che lo accompagna, che recita, letteralmente, “Dire che sia già un classico potrebbe sembrare presuntuoso, eppure è proprio così che si presenta … il nuovo lavoro dei Negramaro.”
Partiamo davvero, adesso. Sono passati cinque anni da Casa69. Ormai la band viene riconosciuta come una delle più importanti realtà di casa nostra, nonostante un palese boicottaggio da parte di una buona porzione dei network radiofonici. Una scrittura, quella di Sangiorgi, e un suono, quello della band, riconoscibilissimi. Su tutto poi la voce del cantante.

Il comunicato che accompagna il nuovo album parla di classico, e in effetti qualcosa che potrebbe far pensare alle caratteristiche dei classici c’è, nelle dodici canzoni della tracklist, tredici con la ghost-track. Le canzoni di questo nuovo atteso album (registrato, ci dirà Sangiorgi durante una conferenza stampa tenutasi al Museo Della Scienza e della Tecnica di Milano, in giro per il mondo, a partire dalla natia Puglia, passando per Milano, Nashville, New York e Madrid) suonano esattamente come uno si immagina dovrebbe suonare un album dei Negramaro. O meglio, suonano come le canzoni dei Negramaro devono suonare se non passano per le cure di Corrado Rustici e Dave Bottrill, produttori dei precedenti lavori. Quindi, suonano più asciutte, meno elettroniche, a metà strada tra pop e rock. Le canzoni sono scritte come uno si immagina dovrebbero essere scritte le canzoni di Giuliano Sangiorgi, che del resto le canta esattamente nella maniera in cui uno si immagina dovrebbero essere cantante da Giuliano Sangiorgi.

Questa faccenda del dovere, al posto del potere, non si trova tra queste righe per caso, poi ci torno.
Un classico, quindi, se non fosse che la qualità delle canzoni non giustifica i cinque anni passati, né la registrazione in giro per il mondo, a meno che i viaggi di cui sopra non fossero diversivi per gli artisti. Gli ingredienti del tipico Negramaro style sono tutti presenti, dalle ballad storte e acustiche di L’ultimo bacio, o elettriche alla Ma quale miracolo, a quelle un po’ meno storte come Attenta e Lo sai da qui, ai rockoni elettronici, coi synth a fare le chitarre elettriche, come in Danza un secondo, passando per le classiche canzoni pop alla Negramaro, dal singolo Sei tu la mia città, probabilmente una delle canzoni meno interessanti prodotte fin qui da Sangiorgi. Ancora, da Tutto qui accade, a Le onde e alla stessa title-track, ai pezzoni marziali, come Il posto dei santi o Se io ti tengo qui. La chiusura è affidata a L’amore qui non passa mai e alla ghost-track, senza titolo. La prima è una ballad con tanto di cello in bella evidenza, è forse una delle canzoni migliori della covata, vagamente rinogaetaniana in certi passaggi, sofferta come la voce di Sangiorgi sa essere.

Il cantante salentino ci ha detto, in conferenza, che è un brano che parla dell’amicizia tra loro sei Negramaro, e ha anche azzardato qualcosa riguardo la rivoluzione che il credere nell’abbattimento di muri tra umani l’esistenza di una band come loro dovrebbe comportare. La parola rivoluzione, così come le parole vita, morte e ironia, sono ricorse molto, in conferenza stampa. Ne prendiamo atto. La ghost è una ballad per piano, con una fisarmonica in sottofondo, un po’ slabbrata, casalinga, quasi, come una ghost track si può permettere di essere. Ecco, il finale regala il meglio. Forse. È difficile dirlo, perché tutte le canzoni sono ovviamente di pregevole fattura, ben scritte e ben eseguite. Non c’è più Rustici, né Bottrill, ma a parte una minore presenza di tastiere, alla base di un piccolo contenzioso tra band e il produttore campano (chi ha influenzato chi?, si chiedevano ai tempi dell’uscita contemporanea de La finestra, Ferro e cartone di Renga e Primo tempo di Ligabue, tutti suonati alla stessa maniera, oggi è chiara la risposta, la matrice di quel suono era Rustici), poco si nota.

I Negramaro sono ormai una band capace di fare il proprio lavoro, di portare a casa la pagnotta e farlo bene. I Negramaro sono i Negramaro.
Ma basta questo? Servono cinque anni per fare il proprio, per non spostarsi di un centimetro oltre il proprio limite compositivo e interpretativo? Parlando il titolo di rivoluzione, e parlandone anche i diretti interessati in conferenza stampa, ci saremmo aspettati qualcosa di più, qualcosa di diverso. Non dico qualcosa di sconvolgente, ma spacciare per rivoluzionario un suono pop-rock, mi sembra un po’ bluffare.
Nessuno ha osato, qui.
Nessuno ha corso rischi, si è messo in discussione.
So calciare perfettamente di destro, tiro solo di destro.

È stato fatto tutto quello che si doveva, quasi nulla di quello che si poteva. Sangiorgi ha elogiato pubblicamente la Caselli, per aver insistito per una loro produzione. E proprio sulla produzione ci si aspettava, forse, qualcosa di più coraggioso, perché la scrittura c’è, e almeno nei testi, c’è una lieve crescita. Chiaro, il fatto che un gruppo di amici del Salento siano riusciti a mettere insieme qualcosa di importante, per certi versi unico, raccontato con gli occhi lucidi, vuole pur dire qualcosa, ma i Negramaro erano i Negramaro anche cinque anni fa, anche l’altro ieri. Nulla è cambiato. Qui si parlava di un album nuovo che porta quello che lo stesso Sangiorgi ha definito un titolo ambizioso, La rivoluzione sta arrivando. Niente sorprese. Niente delusioni, ma niente sorprese. La rivoluzione russa, non svegliatela, diceva una battuta scema di quando ero ragazzino, in anticipo di decenni su Spinoza. Vuoi vedere che tanto scema non era?

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