Il sostituto di Martin Winterkorn nominato a una settimana esatta dall'inizio del terremoto sulla truffa delle emissioni. 62 anni, carriera tutta interna al gruppo, Müller conserva anche la carica di numero uno di Porsche. Giro di poltrone ai vertici
Lo scandalo Volkswagen è un “disastro morale e politico“, parola del 62enne Matthias Müller, nuovo amministratore delegato del gruppo tedesco, nominato a una settimana esatta dall’inizio del terremoto delle emissioni truccate. “Il mio compito più urgente è quello di riconquistare la fiducia nei confronti del gruppo Volkswagen”, ha detto Müller, che conserva temporaneamente il ruolo di numero uno di Porsche. “Sotto la mia guida, la Volkswagen farà di tutto per sviluppare e implementare gli standard di conformità e di governance più rigorosi nel nostro settore. Se riusciamo a raggiungere questo obiettivo, il gruppo Volkswagen con la sua forza innovativa, i suoi marchi forti e soprattutto il suo team competente e motivato ha la possibilità di uscire da questa crisi più forte di prima“.
La Volkswagen ha anche affermato che “un piccolo gruppo” di persone ha causato un danno enorme: il gruppo comunica anche che, dopo le teste cadute nei giorni scorsi, sono stati sospesi alcuni dipendenti. I cambiamenti riguardano molte poltrone: Luca de Meo, responsible vendite e marketing di Audi, diventa numero uno di Seat al posto di Jürgen Stackmann, che diventa presentabile vendite per il marchio Volkswagen. Winfried Vahland passa da Skoda alla responsabilità per l’intero gruppo in Nord America. Christian Klingler, responsabile di vendite e marketing per il marchio Volkswagen, lascia immediatamente il gruppo per “differenza di punti di vista sulle strategie (…) non legate a eventi recenti”. Cambia anche l’organizzazione interna al gruppo, che secondo il presidente a interim, Berthold Huber, dovrebbe migliorare l’efficienza delle decisioni: “Diventeremo più veloci e più agili”.
Nato a Karl-Marx Stadt, oggi Chemnitz, Müller ha fatto carriera all’interno dell’azienda. È un manager esperto e navigato, che conosce il funzionamento della “macchina”, intesa anche in senso amministrativo. È un uomo che sa assumere posizioni scomode e che non si lascia spaventare da situazioni critiche e che è legato sia al dimissionario Martin Winterkorn, che lo aveva voluto al quartier generale di Wolfsburg dal 2007 come responsabile della strategia di prodotto, sia al “grande vecchio” Ferdinand Piech, che aveva contribuito ad insediarlo a capo di Porsche nel 2010.
Müller passa per essere uno degli uomini di fiducia delle due dinastie, quella dei Porsche e quella dei Piech, che lo avrebbero spinto fino al vertice assoluto del gruppo che ora deve affrontare una crisi planetaria dai contorni incerti.
Gli esordi sono in Audi, nel 1977, cui seguono continue promozioni ed incarichi di sempre maggiore responsabilità e visibilità. Con la nomina a capo di Porsche, il manager confessa di non potersi immaginare qualcosa di più bello. Ripaga la fiducia della proprietà con risultati impressionanti grazie ai quali, già entro la fine del 2015, il marchio dovrebbe raggiungere le 200.000 unità immatricolate, cioè 3 anni prima del previsto.
Con il diesel è sicuramente il manager meno “compromesso”, anche perché Porsche ha virato verso l’ibrido e perfino, con la Mission-E, verso l’elettrico. È un uomo che, si mormora negli ambiente del gruppo, sa diventare ruvido e molto spigoloso, un aspetto del carattere che potrebbe servirgli nel prossimo futuro su alcuni fronti, ma non su altri. A proposito del marchio di Zuffenhausen aveva dichiarato di “essere abituato a spazzare i pregiudizi, con i fatti”, una filosofia che gli tornerà utile adesso. Quando si parlerà di “dieselgate”, sarà il volto di questo manager dai capelli bianchi e dagli occhi azzurri che le autorità e i clienti vedranno. Nei giorni scorsi, intervenendo sul dramma dei profughi, ha affermato che “è tempo che gli imprenditori prendano chiaramente posizione su certe questioni. Dobbiamo opporci all’estremismo e dimostrare fermezza. Porsche impiega persone di 56 nazioni e questo dice tutto”.
Müller è un uomo che ama le auto perfino più del potere, si dice. Ha corso la 1000 Miglia, per dire. Considerata l’età, il Consiglio di Sorveglianza ha puntato su di lui come “traghettatore”, anche se nel momento più difficile della storia recente del gruppo. Un compito delicatissimo: quasi 600.000 lavoratori nel mondo dipendono dalle sue scelte e dal modo con cui deciderà di prendere in mano la situazione e di ricostruire l’immagine perduta della credibilità di Volkswagen. Müller aveva gestito la delicata fase successiva alla tormentata “incorporazione” di Porsche e Volkswagen. È un “uomo d’ordine” chiamato a mettere a punto un “turbo programma” per rendere più efficiente il colosso e consentirgli di compensare le enormi perdite provocate dallo scandalo sul software che falsificava i dati. Difficile pensare che possa permettersi di toccare la forza lavoro, che sarebbe chiamata a rispondere per le scorrettezze del management. Volkswagen è l’auto del popolo: non se lo può permettere.
Nella foto, Angela Merkel, Matthias Müller e Martin Winterkorn al Salone di Francoforte 2015, il 17 settembre.