Cancellare un collega da Facebook non è più solo un gesto sgarbato o di sfida: può essere considerato un atto di mobbing. La nuova frontiera dei casi di persecuzioni sul lavoro arriva dall’Australia, dove un tribunale ha emesso una sentenza che afferma che Lisa Bird, dirigente di un’agenzia immobiliare, ha commesso una prepotenza rimuovendo dalle amicizie una sua dipendente.
Il quotidiano britannico The Telegraph racconta la storia di Rachel Roberts, collega della Bird: la donna si era lamentata con il principale, marito della Bird, che tutte le case a lei assegnate non venivano adeguatamente pubblicizzate sulla vetrina dell’agenzia. La dirigente con fare sprezzante ha accusato la Roberts di comportarsi “come una scolaretta che corre dal maestro”.
La Roberts, disperata e in lacrime, una volta uscita dal lavoro si è accorta che la sua superiore l’aveva anche cancellata dagli amici di Facebook. Da qui la sentenza della Fair Work Commission, il tribunale per il diritto del lavoro, che ha stabilito che la Bird ha dimostrato una “mancanza di maturità emotiva” indicativa di “un comportamento irragionevole“.
La sentenza, spiegano gli esperti, non afferma che la cancellazione sia di per sé un atto di mobbing, ma chiarisce che può diventarlo. Nel caso della Roberts è stato solo l’ennesimo episodio dopo una serie di sgarberie, da parte della Bird, di cui era stata vittima e che le hanno causato ansia e depressione.