Televisione

I dieci comandamenti, dal 16 ottobre su RaiTre tornano le ‘inchieste morali’ di Iannacone: “Nel nostro mestiere bisogna non perdere umanità”

Il prologo della stagione 2015 è andato in onda, con successo, il 12 e 19 settembre con puntate da 115 minuti ("Arrivederci Roma" e "Miracolo a Milano") seguite rispettivamente da 655mila e 745mila spettatori: una vera sfida televisiva con la finale di Flavia Pennetta e due talent show. Storie di poveri e ricchi, santi e peccatori, lusso e degrado, vita e morte

La prua della piccola casa resiste, stagliandosi tra i due possenti iceberg di ferro e cemento. Dal tetto la donna si rivolge al giornalista e ammette rassegnata: “Noi siamo troppo piccoli e loro troppo potenti”. Milano, esterno giorno, quartier generale della Regione Lombardia così mastodontico da aver sconquassato la vita delle famiglie che abitano in quella zona. La metafora di un potere talmente forte da sciogliere tutto a partire dalle sue moderne pareti riflettenti di luce e calore capaci, secondo i condomini del palazzo, di liquefare persino la plastica delle tapparelle.

Il 16 ottobre su Rai tre ricomincerà una nuova stagione de “I dieci comandamenti“: Domenico Iannacone e la sua squadra tornano a dare voce alla vita che scorre fuori dai palazzi e dalle sale stampa. Storie raccontate da protagonisti che gli stessi media spesso considerano al pari di un mondo “minore”. Il prologo della stagione 2015 è andato in onda, con successo, il 12 e 19 settembre con puntate da 115 minuti (“Arrivederci Roma” e “Miracolo a Milano“) seguite rispettivamente da 655mila e 745mila spettatori: una vera sfida televisiva con la finale di Flavia Pennetta e due talent show. Storie di poveri e ricchi, santi e peccatori, lusso e degrado, vita e morte. Per scoprire che forse i pazzi dicono la verità e che un giovane studente di 16 anni ha deciso di trascorrere il suo tempo libero nell’orto dell’ex ospedale psichiatrico del capoluogo lombardo solo perché: “E’ una cosa bella cosa perché normalità significa possibilità di essere felici”.

Un passo indietro per conoscere l’origine di un programma di questo genere con un titolo tanto “evocativo”?
L’idea era realizzare qualcosa televisivamente sganciato dal tempo che non fosse dettato dall’impellenza di essere trattato secondo l’agenda politica. Qualcosa che non appartenesse ad un tempo definito. Con trasmissioni come “Ballarò” e “Presa Diretta” avevo poi raccolto così tanto materiale che ho sempre avuto la percezione che sarei dovuto tornare a raccontare come erano andate a finire tante vite nelle quali ero entrato, immergendomi. Come se avessi dovuto riaprire il mio archivio e recuperare una narrazione interrotta. Il titolo ha un valore assolutamente laico: i dieci comandamenti per me sono tutto ciò che non è scritto, ma che incontri ogni volta che entri in una storia. I dieci comandamenti sono un libro che puoi aprire in ogni momento ad ogni pagina e che ritrovi davanti a te mentre ascolti una persona e mentre osservi e ti immergi nel luogo in cui sei.

Le vostre vengono definite “inchieste morali”. Cosa vuol dire?
Riuscire ad attraversare in profondità l’animo dell’uomo o della storia stessa. Nella prima edizione abbiamo declinato i comandamenti con l’attualità. La vicenda della terra dei fuochi “Non commettere atti impuri” con la testimonianza di don Maurizio Patriciello, prete di Caivano, che combatte da anni contro la Camorra e il malaffare mafioso.

Come state lavorando per l’avvio del 16 ottobre?
Con Roma e Milano, così come era stato per “Spaccanapoli”, avevamo lavorato sulla durata di 115 minuti: più di un film, tanto che abbiamo un girato immagini di 60minuti circa per ognuna. Le prossime puntate, che andranno in onda in seconda serata, dureranno circa 50 minuti e si concentreranno su due personaggi messi a confronto come realtà antitetiche. Parleremo ad esempio del rapporto padri e figli: da un lato una ragazzina alla quale è stata strappata e negata qualsiasi possibilità di vivere la sua adolescenza perché obbligata a prostituirsi dai 14 ai 17 anni, dall’altro le parole di Paolo Simoncelli, padre di Marco. Oppure ancora la testimonianza di una prostituta di 71 anni a confronto con un eremita che vive in una grotta a pochi chilometri da Roma.

Non teme che il vostro modo di fare giornalismo venga tacciato di sentimentalismo?
La poesia non è sentimentalismo e nel mio passato mi sono nutrito di poesia. Ho sviluppato il mio modo di guardare e cogliere la realtà nella fucina di Amelia Rosselli, figlia dell’esule antifascista Carlo. I miei punti di riferimento sono poeti come Attilio Bertolucci oppure Giorgio Caproni che diceva: “La poesia arriva dove nessun’altra cosa può arrivare”. Quando taluni colleghi dicono che quello che raccontiamo è poetico, per me significa aver centrato l’obiettivo. Da un punto di vista tecnico poi un’altra sfida vinta è stataquella di essere riusciti ad introdurre lunghe pause e silenzi che per la narrazione televisiva rappresentano qualcosa di straordinario, a volte anche rischioso. Eppure questa sospensione delle parole e di ogni altro commento escluse immagini ed emozioni è stato percepito e totalmente compreso da chi segue le nostre inchieste.

Nel suo curriculum ci sono documentari e reportage – pluripremiati – caratterizzati dal metodo d’inchiesta “puro”. Cosa c’è in comune con l’imprinting de “I Dieci Comandamenti”?
Posso essere anche molto spietato nello svolgere il mio lavoro. Ho però imparato a lasciarmi condurre da una sensazione-regola molto forte: mai infierire. Io posso combattere chi ho davanti attraverso la ricerca della verità, ma non sono un poliziotto. Ho deciso che non utilizzerò più la telecamera che comunque crea slealtà e non ti fa essere corretto. Tra le tante vicende che mi sono accadute ricordo l’incontro con la moglie di Nevio Coral, ex sindaco di Leini condannato a 8 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Ero davanti al loro cancello di casa con l’operatore, la donna uscì e l’avvicinai. Le chiesi se sapesse del marito e dei suoi incontri, lei continuava a negare, tremando. Mentre parlavamo arrivò il postino che le consegnò la lettera del marito dal carcere. Il mio collega stava riprendendo tutto. Quello era un servizio unico. La voce della donna era rotta dall’emozione: “Mi ha scritto mio marito”. Le toccai la mano, in quel momento fu come se davanti a me ci fosse solo una donna che tremava. Interrompemmo le riprese e quel servizio non andò mai in onda. Nel nostro mestiere bisogna anche sapersi fermare e non perdere umanità”.

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it