La necessità di avere motori "puliti" anche nei test su strada richiederebbe un ulteriore sforzo tecnologico ed economico. Le Case automobilistiche potrebbero essere obbligate a condividere i costi di ricerca e sviluppo, in particolare quelle, come FCA, che hanno investito poco finora
La slavina che ha travolto il gruppo Volkswagen è ancora ben lontana dal fermarsi, anzi pare ingrossarsi di ora in ora. Tra i suoi effetti collaterali potrebbe anche esserci quello di dare ragione a Sergio Marchionne, almeno quanto alla impellente necessità, da questi più volte esposta, di fusione tra i grandi gruppi automobilistici. È la tesi sostenuta da Tommaso Ebhardt, di Bloomberg News, citando diversi analisti del settore. L’ad di FCA è solito dichiarare pubblicamente, già da diverso tempo, che la moltitudine di normative di omologazione, i gusti sempre più difficili dei clienti e il crescente tasso di tecnologia di cui le vetture attuali sono infarcite, stanno conducendo a un pericoloso e generalizzato aumento dei costi, che a medio termine diventerà insostenibile. Nella visione del manager italo-canadese l’unione fa la forza; peccato che finora abbia predicato quasi nel deserto.
Ma ora che alcune cose stanno per cambiare e che sta diventando chiaro che per sviluppare motori diesel realmente puliti (non solo sui banchi a rulli) bisogna spendere una montagna di soldi, i vaticini di Marchionne potrebbero rispecchiare molto più fedelmente la realtà. Questo non vuol certo dire che i tedeschi andranno a bussare alla porta di “Serghio”, ma magari Mary Barra smetterà di cestinare a priori le sue e-mail e gli darà qualche metro di spago in più. Secondo il Detroit News, l’inasprimento dei controlli e delle procedure che, tanto gli Stati Uniti quanto l’Europa, hanno già annunciato, creerà maggiori voci di spesa per tutte le Case automobilistiche.
Anche l’auto più virtuosa, infatti, è aiutata in maniera consistente da un ciclo di omologazione che non ha niente a che vedere con la realtà. Sicché, i dati mirabolanti che leggiamo nelle schede tecniche sono irripetibili in condizioni reali. Il male, quindi, è noto e la cura è semplice, ma costosa: aumentare il livello di tecnologia, cioè di ricerca, ovvero di soldi spesi. Lo stesso Martin Winterkorn, che ha dato le dimissioni in seguito alla scandalo Volkswagen, aveva detto un anno fa che “ridurre di un grammo le emissioni di CO2 costa alle Case automobilistiche 100 milioni di euro“, oppure, per dirla con le parole di Ulrick Hackenberg, capo dello sviluppo Audi, tra 30 e 50 euro per ogni vettura per grammo di CO2 da tagliare. Non è un caso che Marchionne guardi fuori dal suo cortile, perché FCA ormai da anni spende pochissimo in R&D e si trova indietro su molti fronti, come l’ibrido, l’elettrico o la guida autonoma. Volkswagen, invece, è il Gruppo che spende di più, ma i risultati non sono sempre quelli sperati.