A Matera per una visita oncologica bisogna mettersi in coda un anno prima. E ben dieci mesi per quella neurologica. A Vibo Valentia otto per una mammografia. A Latina quattro per vedere un cardiologo. Una settimana in più per un appuntamento dal gastroenterologo ad Avellino. Le liste d’attesa negli ospedali sono da parecchio tempo un tasto dolente della sanità italiana.
La supervisione del Ministero ferma al 2010
Il compito di monitorare i tempi delle prestazioni sanitarie sul territorio spetta alle regioni, che devono pubblicare sul proprio sito internet i dati di tutte le aziende ospedaliere, aggiornandoli periodicamente. Per un servizio trasparente e un accesso immediato all’informazione da parte dei cittadini. A supervisionare il lavoro delle regioni e a fare una media del tempi di attesa a livello nazionale ci pensa il ministero della Salute, che si avvale della collaborazione dell’Agenas (l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), suo braccio operativo. Ma il sistema da qualche parte si è inceppato. L’ultima indagine sull’utilizzo del web per comunicare le liste d’attesa nei portali di regioni, asl, aziende ospedaliere, irccs e policlinici risale al 2010. Dopodiché è piombato il silenzio, mentre secondo il dicastero di Beatrice Lorenzin, sono 205 le prestazioni sanitarie che possono essere tagliate per ridurre la spesa pubblica: dagli esami di laboratorio, ai test genetici e allergici per arrivare fino a risonanze magnetiche e tac sono gli esami che secondo il ministero non sono sempre necessari.
Le liste d’attesa? Online sono quasi fantasma
Nel frattempo di notizie sulle liste d’attesa neanche l’ombra. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto al ministero se e quando è in agenda il prossimo rapporto: “entro il 31 dicembre”, dicono. Staremo a vedere. Cinque anni fa neanche la metà delle regioni era in regola (10 su 21, considerando le due province autonome di Trento e Bolzano). Per non parlare dei policlinici universitari, solo il 14 per cento, degli irccs (21 per cento), delle aziende ospedaliere (47 per cento) e delle asl (57 per cento), comunque le più virtuose. La comunicazione online delle liste d’attesa viene raccomandata all’interno del Piano nazionale di governo delle liste di attesa 2010-2012.
Per verificare se è cambiato qualcosa basta consultare i siti web di alcune regioni. Campania, Marche, Calabria e Sicilia, tanto per citarne alcune, non riportano le tabelle. Il cittadino per orientarsi dovrà entrare nei siti internet dei singoli ospedali e fare un confronto tra tempi reali e/o massimi di attesa. A patto che sia presente la sezione “tempi di attesa”. Quando la regione mette online il prospetto completo, non è sempre facile consultarlo. Le modalità d’accesso sono eterogenee, il più delle volte per trovare la voce bisogna per forza inserire la parola chiave nel motore di ricerca interno al portale, e in altri casi, come il Veneto, i dati sono raccolti in un file memorizzato su un terminal device a cui l’utente accede digitando un altro indirizzo internet (segnalato sul sito). Una volta arrivato qui dovrà loggarsi con password e username.
A Roma, 4 anni per togliere un tumore benigno
Intanto il dramma delle liste infinite si incancrenisce. A Padova, per esempio, Alberto è in attesa da due mesi di un intervento per la rimozione di un aneurisma cerebrale e di un altro per asportare un cancro al fegato. Ad Ancona, il padre di Andrea deve fare una tac urgente al torace prima di iniziare le radioterapie per un tumore alla gola. Il primo posto libero è fra un mese e mezzo a cento chilometri di distanza. In regime privato, dopo tre giorni al costo di 250 euro. A Verona Luigi è affetto da diabete insulino-dipendente (la forma più grave) e deve verificare che la malattia non gli abbia provocato danni alla retina. Se avesse aspettato i tempi del pubblico (tre mesi per la prima visita) molto probabilmente a quest’ora non ci sarebbe più stato niente da fare per la sua vista. Ha fissato una visita a pagamento (120 euro) nel giro di una settimana e subito dopo la diagnosi ha iniziato una terapia laser per prevenire la maculopatia (la malattia alla retina che porta alla cecità). Il conto alla rovescia di Sonia, che deve farsi togliere un fibroadenoma al seno, un tumore di tipo benigno, dura, invece, da oltre quattro anni a Roma.
Solo alcune delle storie che arrivano dagli ospedali di tutta Italia. Di cui le cronache locali sono piene. Al Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva, su oltre 24mila segnalazioni arrivate nel 2013, il 23,7 per cento (il 5,3 per cento in più rispetto al 2012) riguarda le difficoltà di accedere alla cure soprattutto a causa delle liste d’attesa interminabili (nel 58 per cento dei casi), dal peso dei ticket (31,4 per cento) e dall’intramoenia troppo cara per il portafoglio (10 per cento). Striscia la notizia, il tg satirico di Canale 5, al problema ha perfino dedicato uno spazio settimanale chiamato “Le previsioni d’attesa ospedaliera”. E alla luce dei nuovi tagli, le code si allungheranno ancora. Non sono immuni gli ospedali privati, che anzi durante l’ultimo congresso europeo Aiop (l’associazione delle strutture private) al San Raffaele hanno lanciato l’allarme.
Un altro ritardo: scaduto il piano delle liste d’attesa
Il Piano nazionale di governo delle liste d’attesa, della durata di tre anni, è scaduto nel 2012. Poco importa ai piani alti. Stato e Regioni si sono accordati per tenerlo ancora in vita “fino al perfezionamento del suo aggiornamento”, dichiara l’Agenas al fattoquotidiano.it. Sul sito di Agenas il nuovo piano è annunciato ma è senza contenuto. Chissà ancora per quanto. Non solo: “Oggi in elenco ci sono solo 52 prestazioni. Trascurate tutte le altre, comprese quelle pediatriche e quelle del percorso gravidanza – denuncia Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva -. E poi per controllare l’attività intramuraria il piano prevede comitati interni alle Asl che includano anche rappresentanti delle associazioni come la nostra, ma ci rifiutano”.