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Benvenuto in hotel, signore: muffa a colazione e pareti di Lego. Le peggiori esperienze in albergo raccontate da Andrea Scanzi

Negli alberghi tutto diventa difficile: dall’apertura della camera alla luce che filtra. E tra l’aspirapolvere e il russare del vicino, c’è sempre la receptionist: “Posso pinzare, gentilmente?”

di Andrea Scanzi

Il mondo degli hotel sottosta a regole specifiche e rispetta usi del tutto precipui. Vediamone alcuni. La gogna della tessera magnetica. Ogni hotel ha molte camere. Per entrare in camera basterebbe una chiave, ma sarebbe troppo facile. Il legiferatore del mondo degli hotel aveva un gusto assai spiccato per il ghiribizzo. Per questo chiunque voglia entrare deve accettare una tessera magnetica, in via teorica sufficiente a far aprire la porta. In reception, almeno, ti dicono così. Poi però ci provi e non si apre nulla. Così ti affidi a riti apotropaici, filastrocche antiche e abracadabra pagani affinché essa si apra. Ma niente. Dopo che ci hai provato per mezzora, non disdegnando anche l’uso sobrio del piede di porco, chiedi aiuto a qualcuno. E lui, sempre, riesce ad aprire la porta. Al primo colpo. È lì che ti poni molte domande sul senso della vita.

Tutto tranne il buio. Gli hotel moderni sono sempre più fighi, ma nascondono un trucco: non appena si fa notte, scopri che entra luce ovunque. Il viaggiatore, pur di avere un po’ di buio e dormire, a quel punto è disposto a tutto: attacca i poster di Valerio Scanu alle finestre, erige muraglie di mobilia davanti ai punti di luce, fa brillare le fondamenta dell’hotel col C4 per creare una barriera di macerie che oscuri i raggi di sole. È una guerra strazianteNon c’è pace, non c’è silenzio. Le pareti che dividono una camera dall’altra sono fatte con i mattoncini della Lego, e per questo i rumori dalle altre stanze arrivano nitidamente alle tue orecchie. Bambini che piangono, coppie che copulano, milizie di adenoidi incazzose che russano. Un calvario, che il viaggiatore prova ad attutire usando tappi di ghisa. Però i tappi non bastano. Allora il viaggiatore li spinge sempre più giù, ben oltre le trombe di Eustachio. Alla fine, esausto, perde i sensi. Quando poi si sveglia, scopre che il silenzio continua: a furia di spingere i tappi nel condotto uditivo, è diventato sordo.

“Posso pinzare, gentilmente?”. Nelle reception degli hotel non ci sono esseri umani ma cyborg costruiti sul modello delle Leggi Robotiche di Asimov. Le frasi preferite dal Robot Receptionist sono “Una firma gentilmente” e “Posso pinzare la ricevuta qui, signore?”. Chissà perché, il Robot Receptionist è un feticista delle parole “gentilmente” e “pinzare”. Mah.

Muesli e agonia per colazione. Se l’Armageddon esiste, somiglia alle colazioni negli hotel. Prima di avvicinarti allo stanzone, vieni crivellato da zaffate rancide di uova alla coque. Osservi poi lo spettacolo mesto di uomini e donne che, come automi, trascinano i piedi tra formaggini del ’57, cracker mummificati e crostatine al gusto di muesli e agonia. Gli uomini hanno ancora le cispe agli occhi e le donne indossano ciabatte sommamente inaccettabili. Il viaggiatore, negli hotel, non fa colazione: fa le prove generali per il Giorno del Giudizio.

Non bussate a quella porta. Nel mondo degli hotel le cameriere entrano sempre senza bussare. Non solo: lo fanno sempre nei momenti più imbarazzanti per il viaggiatore. Quando è in bagno, quando è nudo, quando sta guardando Riotta in tivù. Una volta entrata, la cameriera reagisce sempre allo stesso modo: finge di stupirsi (“Pensavo non ci fosse nessuno”) e chiede scusa, ma in realtà se la ride di gusto. E subito corre a raccontare alle colleghe quanto è depravato il tizio della 307: “Pensate, stava addirittura guardando Riotta in tivù!”.

Ditta Traslochi sempre attiva. Nel mondo degli hotel, dalle 8, partono i traslochi. Gente che urla come indemoniata, che sbatte le porte, che sposta i mobili. Il viaggiatore, stremato, chiama la reception per lamentarsi, ma in reception gli rispondono solo “Posso pinzare, gentilmente?”. Allora il viaggiatore si alza, apre la porta e controlla se in corridoio fanno casino. Ma non c’è nessuno. Così si convince che i rumori che sente sono solo nella sua testa. E telefona al primo psicologo junghiano con un’ora libera al pomeriggio.

Il mio regno per un’aspirapolvere. Nel mondo degli hotel il suono che scandisce il ritmo del giorno non è quello degli usignoli: è quello delle aspirapolveri. Sono sempre accese, soprattutto di notte. Più che aspirapolveri, sono geyser. Hanno il rombo livido degli Stealth, ti entrano in testa come un riff di Keith Richards e non servono a nulla: ci sono più acari nelle moquette degli hotel che parole tronche nel canzoniere di Cremonini.

Tutto tranne le cose facili. Nel mondo degli hotel nulla è facile. Le prese della corrente non sono quasi mai dove dovrebbero essere, per esempio accanto al comodino. Il wi-fi funziona solo nella hall dell’albergo, che per questo è sempre piena di gente che bivacca lì con lo smartphone inchiodato sul livescore di Vitiano-Akragas. I minibar si aprono solo con mine, da acquistare previamente su eBay, che permettono di far saltare la maniglia e dunque permetterti di degustare le anelate arachidi Cameo. Le serrande si chiudono solo se premi tre pulsanti e contemporaneamente reciti tutta la discografia di Memo Remigi per sbloccare il codice di accesso. Infine, se entri tardi e in reception non c’è nessuno, niente paura: basta usare la porta sul retro, scassinare la serratura, superare cinque prove mortali, sedare il cane di guardia, colpire alla nuca il vigilante, prendere le scale di emergenza, manomettere l’allarme, fare una piroetta, strisciare fino alla stanza e andare a letto senza accendere la luce (altrimenti ti scoprono). È dura, la vita negli hotel.

Da Il Fatto Quotidiano del 27 settembre 

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