Si dice che fosse sul punto di abbandonare tutto la notte del 25 novembre 2012 – data delle precedenti elezioni catalane – quando il suo partito, Convergència i Unió, crollò perdendo 12 seggi, da 62 a 50. Mas aveva chiesto ai catalani una “maggioranza eccezionale” per il suo progetto nazionale, ma l’elettorato gli diede le spalle e il processo di una Catalogna indipendente, quando ancora la sua visione era basata sul diritto a decidere più che sul separatismo, rimase in mano a Esquerra repubblicana, vincitore morale di quelle elezioni, con mezzo milione di voti e 21 seggi alla Generalitat. Già allora politologi ed editorialisti davano Artur Mas per morto.
La scena, a distanza di tre anni, sembra ripetersi. Il presidente della Catalogna ha convocato le elezioni con una ben precisa condizione per i suoi alleati: sarà lui, di nuovo, il futuro presidente. Ma gli attuali 62 seggi sono lontani dal fare una maggioranza assoluta e con questi risultati il suo futuro è tutto nelle mani della Cup, un movimento anticapitalista parecchio distante dalle idee liberali di Mas. La Cup non ha grande simpatia per il leader di Junts pel sí, soprattutto dopo le ultime indagini sui casi di corruzione che coinvolgono proprio il suo partito. E ha già detto che non lo sosterrà in parlamento. Una via potrebbe essere quella di mettersi in disparte e lasciare il posto ad un altro nome in lista per ottenere l’appoggio dell’estrema sinistra. Al politico catalano però, si sa, non piace perdere. In molti frattanto hanno già trovato un’altra perifrasi, con tanto di ossimoro, da affibbiargli: la sconfitta del vincitore.
Cinquantanove anni, tre figli, una laurea in economia e una passione per Winston Churchill, Mas arriva al governo catalano già nel 1995, sotto l’ala protettrice di Jordi Pujol, padre, presidente e simbolo della regione dal 1980 al 2013, caduto in disgrazia l’anno scorso dopo aver riconosciuto di aver commesso un’ingente frode fiscale e aver trascinato con sé anche il partito.
Nel 2010 Artur Mas diventa presidente della Generalitat e, in piena crisi economica e di relazioni col governo di Madrid, coltiva il percorso per l’indipendenza della Catalogna. Due anni dopo convoca elezioni anticipate, dopo aver fallito i negoziati con Rajoy. Perde 12 seggi ma riesce ad essere rieletto a capo della regione con 71 voti. Il 9 novembre 2014 organizza il referendum sull’indipendenza catalana, ma il governo spagnolo pone subito il veto. Mas non desiste e torna a portare la Catalogna al voto. Quello di domenica.
I suoi detrattori lo accusano di dividere in due la regione, ignorando chi non vuole separarsi da Madrid con discorsi manichei: una Catalogna libera di fronte a una Madrid che stringe le catene. Per i sostenitori invece è il leader patriottico che lotta per l’autodeterminazione di un popolo, a costo di allearsi con gli acerrimi nemici di Esquerra repubblicana o di sperare in un sostegno dagli estremisti di sinistra. “Una volta finito questo cammino non ho più voglia di fare carriera politica” ha detto a France-Presse. Non ho l’ambizione di essere il primo presidente dello Stato catalano, voglio essere l’ultimo presidente dell’autonomia catalana”. Da oggi si potrebbero gettare le basi per decidere anche questo.
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