Tra i molti meriti ascrivibili a Podemos, si annovera senza dubbio quello di aver riscattato le scadenze elettorali come momenti in cui approfittare del logorio del sistema istituzionale e della crisi economica per avanzare nuove proposte di identificazione politica. Momenti di accelerazione discorsiva che permettono, in altre parole, di attenuare la presa dell’ideologia egemonica e proiettare, attraverso un elemento di passione che la congiuntura elettorale fomenta, nuove narrative politiche. Tuttavia, quest’enfasi elettoralista, sebbene esplori potenzialità ignorate dalla sinistra post-moderna, non è esente da pericoli.
Questi si materializzano quando, banalmente, le elezioni si perdono. In Catalogna, il cartello elettorale ‘Catalunya sí que es pot‘ – ispirato sia nel nome che nel colore da Podemos – ha ottenuto appena 11 seggi nelle elezioni parlamentari celebrate domenica, due in meno di quelli conquistati autonomamente tre anni fa da una delle formazioni che hanno integrato il cartello. La scommessa di Podemos era temeraria, ma forse l’unica che poteva spostare i termini del dibattito pubblico in uno scacchiere così complesso come quello catalano. Il discorso può essere riassunto nella domanda: “Preferite un Paese indipendente, ma governato da una destra losca e corrotta come quella di Artur Mas (leader della fazione indipendentista di centro-destra e presidente uscente della Generalitat catalana) oppure rimanere in una Spagna riformata guidata da Pablo Iglesias?”
Forse la risalita del Partido Popular e la retrocessione di Podemos al terzo posto nei sondaggi hanno vanificato agli occhi dei catalani la premessa fondamentale, cioè la possibilità che la Spagna sia davvero riformabile. In questo modo, Podemos non è riuscita a sostituire la questione dell’indipendenza con la duplice strategia del consenso plurinazionale (“vi daremo il referendum vincolante ma chiedendovi di rimanere per stipulare insieme un nuovo modus vivendi”) e del dislocamento del discorso verso i propri piatti forti, cioè le questioni socio-economica e anti-casta.
Altre questioni contribuiscono a spiegare le difficoltà di Podemos, sia in Catalogna che nel resto del Paese. Al di là del lodevole sforzo per comprendere i fenomeni catalani, la natura prevalentemente Madrid-centrica della formazione non ha esattamente rinforzato la sua reputazione, una caratteristica che potrebbe ripercuotersi negativamente anche in altri territori dove la capitale non risveglia particolari simpatie. Il discorso sul centro di gravità potrebbe estendersi anche a una critica dell’eccessivo centralismo adottato da Podemos. Nonostante per certi versi necessaria, la trasformazione in forma partito effettuata nell’autunno dello scorso anno ha portato ad una verticalizzazione del processo decisionale interno a scapito delle sezioni e di un lavoro politico capillare. Senza contare che Podemos è sempre più percepita come un esperimento da laboratorio portato avanti da intellettuali che non lesinano marketing e frasi ad effetto, ma con un ancoraggio sociale ancora tutto da costruire.
La strada verso le elezioni generali di dicembre si rende così particolarmente irta per Podemos. L’insistenza sull’elettoralismo ha generato grandi aspettative, le quali, dovessero risultare frustrate, corrono il rischio di trasformarsi in un pericoloso boomerang. È anche importante riconoscere che né una tornata elettorale né l’arrivo al potere possono appianare del tutto l’ideologia egemonica, la quale, persino quando entra in crisi, permane a lungo radicata nelle disposizioni pre-verbali, ovvero sia in una concezione sotterranea della vita e del mondo riscontrabile nelle attitudini, nelle predilezioni, nei desideri e nei valori. La costruzione di una nuova identità popolare – e pertanto di una nuova egemonia politica – a cui puntano Iglesias & co. è, in altre parole, un processo che richiede tempi molto più lunghi e modificazioni ‘molecolari’ che non contemplano esplosioni rapide o scatti fulminei. Podemos sarà all’altezza del proprio compito se saprà conciliare e avanzare in entrambe le dimensioni.
Twitter: @mazzuele