“Giulia come si chiamano i tuoi amici all’asilo?”
“Maria Vittoria, Stefano, Ammarit”
“Che cos’è Ammarit? E’ un indiano o un marocchino?”
“Ma no, papà! Ammarit è un bambino”.
Credo che le parole di questa bambina, figlia di amici, siano la migliore risposta a chi in queste settimane è tornato a proporre quote di allievi migranti nelle classi.
Tutti gli anni la stessa storia. I primi giorni di lezione siamo costretti a registrare le urla di qualche genitore che ritiene che nella classe di suo figlio vi siano troppi stranieri e le dichiarazioni di qualche politico di turno che torna a parlare di tetto al numero degli stranieri in una sezione.
Faccio una premessa: l’unico “tetto” lo metterei alle castronerie che certi politici dicono senza conoscere la realtà o peggio ancora facendo leva sulla pancia di chi non conosce.
E’ successo anche quest’anno.
Alla scuola media “Tito Livio” a Napoli la prima campanella è suonata tra le polemiche di molti genitori che hanno trasferito i figli perché c’erano troppi stranieri in classe. A Solarino, nel siracusano, secondo quanto riportato da Affari Italiani.it una mamma avrebbe detto durante una riunione “Non mando mio figlio in quella scuola perché sono razzista e non mi vergogno a dirlo”. Intanto di fronte alla notizia di due classi a Brescia composte di soli bambini migranti, la dirigente ha ammesso che alcuni genitori italiani preferiscono iscrivere i figli alle paritarie piuttosto che alla primaria Manzoni dove la percentuale di bambini senza cittadinanza italiana è dell’85%. Numeri che hanno portato a dire al solito Salvini: “Mettiamo un tetto nelle classi altrimenti non è vera integrazione”.
Ma andiamo a vedere qualche dato disponibile che arriva dall’Ismu che studia la multietnicità: le scuole con almeno il 30% di alunni con cittadinanza non italiana sono 2.851, il 5% del totale mentre quelle con almeno la metà degli alunni stranieri sono solo 510. La maggior parte di queste situazioni si verificano a Milano, Brescia e Torino.
A Salvini e a quei genitori che urlano contro le classi ricche di bambini con cognomi diversi da Brambilla e Rossi, va pure detto un altro numero: i nati nel nostro paese costituiscono ormai la maggioranza di questi alunni, raggiungendo per la prima volta il 51,7% (415.283) degli iscritti stranieri. Tra il 2007/8 e il 2013/14 si evidenzia pertanto una crescita esponenziale di nati in Italia nelle scuole secondarie, nelle quali costoro sono quasi triplicati (scuole di primo grado) o più che triplicati (secondarie di secondo grado).
Spesso si tratta di ragazzi che conoscono meglio dei bambini italiani, la lingua inglese che viene praticata in casa o conoscono più del figlio del signor Brambilla, strumenti come Skype o Internet perché li vedono usare dai loro genitori. In quella classe bresciana magari la maggior parte dei bambini ha frequentato l’intero sistema d’istruzione italiano a partire dalla scuola dell’infanzia che molti bambini del Sud non possono fare dal momento che non vi sono.
Vale anche la pena ricordare che se oggi al Nord vi sono più cattedre è grazie soprattutto a questi bambini. Detto questo non possiamo nasconderci dietro un dito: il problema non è l’integrazione ma l’inclusione di chi arriva durante il percorso scolastico: l’investimento che viene fatto per assicurare a questi ragazzi lo stesso diritto d’apprendere, è insufficiente lo dimostrano i dati sui ritardi scolastici di questi ragazzi.