“I gay a scuola non sono un problema ma credo che i giornali che ne parlano andrebbero oscurati“. Parola di Francesco Macrì, da 20 anni presidente e segretario generale della Fidae, l’associazione che riunisce 2.500 scuole cattoliche in Italia. E non è il solo a confermare con le proprie parole che il problema, invece, esista.

Ha innescato un fiume di polemiche la vicenda, ancora da chiarire, del ragazzo dell’istituto professionale cattolico di Monza che sarebbe stato costretto a sostare in corridoio e seguire le lezioni fuori dalla classe perché gay dichiarato. La storia è stata raccontata dal Giornale di Monza e prende le mosse da una denuncia ai carabinieri dei genitori del ragazzo. Subito sono piovute le condanne delle associazioni, come Arcigay, che ritengono gravissimo l’episodio e chiedono l’invio di ispettori ministeriali. Dalla scuola una scarna nota smentisce la ricostruzione della vicenda: “Vi assicuriamo che non facciamo discriminazioni sessuali né razziali. La nostra attenzione – si legge nella nota – è alla formazione professionale dei giovani, seguendo il dettame della pastorale sociale della Chiesa cattolica”. Detto che la vicenda è ancora da chiarire, tanto basta a registrare il fatto che il tema sia tutt’altro che strumentale o assente dai banchi.

Il dirigente didattico dell’Ecfop della città brianzola, Adriano Corrioni, non risponde al telefono perché passa il pomeriggio coi cronisti locali a fornire la sua versione dei fatti. Ma due telefonate al cuore del sistema scolastico cattolico danno la misura del problema che viene negato e stra-negato, e poi affermato quasi inconsapevolmente. Parliamo con il presidente dell’Associazione dei Genitori iscritti alle scuole cattoliche (Agesc) che rappresenta 790 istituti e 20mila iscritti. E dopo tutte le premesse e prudenze del caso Roberto Gornero spiega che “il problema non esiste perché la scuola cattolica è inclusiva. E lo dimostra il fatto stesso che fosse iscritto, a quanto pare, uno studente dichiaratamente gay”. Forse non avendo del tutto chiaro che l’iscrizione, a prescindere dagli orientamenti sessuali, non è una concessione della scuola ma un dovere che si base su un diritto garantito in Costituzione. Pena la perdita dell’accreditamento come scuola paritaria.

Altra telefonata, altra conferma che – al di là delle rassicurazioni – una certa dissociazione tra diritto all’istruzione e orientamenti sessuali persista nel mondo della scuola cattolica. Il presidente dell’Associazione delle Scuole Cattoliche (Fidae), 2.500 istituti, Francesco Macrì premette di non conoscere il caso in questione ma esclude a prescindere che una scuola cattolica possa discriminare. Ma sul finire rivela a suo modo il contrario: “Da una denuncia, a volte ci si lascia prendere la mano. Basta una battuta, una parola di più e viene subito enfatizzata, drammatizzata, strumentalizzata”. E dunque? “Credo che anche per cautelare la famiglia e soprattutto il ragazzo andrebbero oscurati i giornali. Perché lei mette senza volerlo sulla piazza un problema delicato. Cosa di cui nessuno di noi sarebbe contento. Credo che un giornale su questi fatti, ammesso che siano mai accaduti, dovrebbe limitarsi in astratto a fare delle teorie senza entrare nel merito della scuola e della famiglia”.

“Nella scuola cattolica non si praticano discriminazioni verso i ragazzi – assicura il presidente Macrì – soprattutto quelli che hanno difficoltà di qualsiasi tipo sia fisica, psichica o di qualunque altra natura. La scuola è fatta per educare, non per escludere sennò diventa selettiva e non inclusiva”. Bene, ma deve educare anche dal punto di vista dei comportamenti e degli orientamenti sessuali? “Ma io parlo in generale, sul fatto concreto non do alcun giudizio – continua Macrì – Sto scrivendo proprio in questo momento un libro su un progetto europeo in cui si tratta dell’inclusione dei ragazzi per evitare qualunque forma di esclusione”. E parla anche dei gay nel suo libro? “Ma no, quella è una questione specifica io parlo di un modello”.

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