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La situazione in Siria diventa ogni giorno più grave. Ci si attende milioni di rifugiati che cercano la salvezza nei paesi limitrofi e in Europa. Avanzano le truppe dei tagliagole dell’Isis, questo strano e inquietante fenomeno nel quale convergono i risultati delle demenziali politiche occidentali nei confronti dell’area medio-orientale e nordafricana e il sostegno di vari Stati reazionari dell’area, specie Arabia Saudita e Turchia, il cui comportamento in varie occasioni non ha d’altronde nulla da invidiare ai suddetti tagliagole. Si veda la selvaggia repressione dei Kurdi da parte della Turchia, le barbare esecuzioni saudite e la distruzione del patrimonio culturale yemenita da parte dei raid aerei di Riad, di cui nessuno parla.

Di chi sono le responsabilità di questo disastro? Non c’è dubbio che, come nel caso dell’Iraq e della Libia, esse incombano principalmente sui paesi occidentali, autori negli anni passati di tremende violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani per le quali nessuno ha finora pagato. Eppure sono molto evidenti le responsabilità di Bush, di Blair e di Sarkozy, tanto per limitarsi ai ruoli apicali. Sicuramente responsabili tutti e tre del gravissimo crimine di aggressione che, come affermato dal pubblico ministero statunitense al processo di Norimberga, è il supremo crimine internazionale, fonte di tutti gli altri. Eppure non è possibile metterli sotto processo per questo motivo perché gli Stati firmatari del Trattato sulla Corte penale internazionale si guardano bene dal definirne gli elementi. In compenso Blair è stato accusato di violazioni di altri articoli di tale Trattato. Ma occorrerà aspettare ancora prima di vedere questi e altri soggetti sul banco degli imputati.

Assolutamente fallimentari si rivelano le strategie escogitate dagli Stati uniti, principali responsabili del disastro in atto, per far fronte al fenomeno Isis. Con l’invasione dell’Iraq, i massacri della popolazione civile, la tortura e le violazioni dei diritti umani di cui si sono responsabili, hanno preparato il terreno per il sorgere di tale fenomeno, che vede la convergenza di elementi baathisti e componenti fondamentaliste. Non contenti, hanno inviato sia agli Stati che ai cosiddetti insorti siriani, quantitativi di ingenti di armi che hanno finito per alimentare l’ISIS, Al Qaeda e altri gruppi fondamentalisti. Hanno rifiutato la soluzione, offerta all’epoca dalla Russia, che prevedeva l’uscita di scena di Assad, perché stolidamente convinti del fatto che presto ci avrebbero pensato i ribelli.  Hanno fatto affidamento, per battere l’ISIS, sulla Turchia e sugli Stati arabi che ne sono i principali alleati. Anche Israele appoggia i cosiddetti ribelli siriani, bombardando le truppe di Assad, così sostenendo indirettamente Isis e Al Qaeda. Da ultimo si è aggiunta la Francia, bombardando autonomamente alcune postazioni dell’Isis, ma dimostrando ancora una volta di avere le idee più confuse che mai, al punto che perfino Renzi, dissociandosene giustamente, sembra un grande statista.

Il caos siriano continua e si aggrava, anche per effetto delle scelte delle potenze occidentali che continuano a inondare di armi l’area. Una proposta sensata è quella giunta dal discorso di Vladimir Putin all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Putin ha accusato giustamente l’Occidente di “aver plasmato l’Isis come strumento d’influenza nella regione” e ha sostenuto, altrettanto giustamente, la necessità di cooperare effettivamente per la sconfitta definitiva dei tagliagole di tutte le risme e una soluzione pacifica della crisi siriana, facendo l’esempio della coalizione che si formò durante la Seconda guerra mondiale per combattere Hitler, di cui com’è noto l’Unione sovietica costituì la componente principale e decisiva. Elementare e del tutto condivisibile la proposta formulata dal leader russo di una risoluzione del Consiglio di sicurezza che coordini lo sforzo da effettuare per restituire la pace a quelle terre martoriate.

Tale risoluzione dovrebbe prevedere a mio avviso anche una soluzione transitoria per la Siria, mediante la formazione di un governo d’unità nazionale che consenta il superamento della guerra civile e nuove elezioni effettivamente democratiche. In tale ambito potrebbe essere sperimentato il confederalismo democratico teorizzato da Abdullah Ocalan e praticato con successo nella Rojava che resiste all’Isis. Ma c’è da scommettere  che le deleterie potenze occidentali, accecate dai loro interessi di piccolo cabottaggio, rifiuteranno una soluzione del genere. Obama cincischia, mentre i generali reazionari che compongono il suo staff, da Petraeus ad Allen, si dimettono per protestare contro quella che ritengono un’insufficiente durezza nei confronti di Russia ed Iran. Nel frattempo i siriani continuano a morire e a fuggire per non morire. Il problema principale di questo pianeta si chiama Occidente e spetterebbe a noi occidentali risolverlo cambiando le politiche fallimentari che, specie dall’11 settembre 2001 a questa parte, l’Occidente ha condotto alimentando nel Medio Oriente e in Nordafrica guerre, morte e terrorismo

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