Arriva nelle sale l'8 ottobre la pellicola che racconta del fondamentale incontro fra Dean e il giovane fotografo del magazine LIFE, Dennis Stock. È bravo il regista Corbijn – il cui miglior film ad oggi era Control (2007) sul leader dei Joy Division Ian Curtis – a raccogliere il meta-sguardo offerto dal dispositivo cinematografico rispetto a quello fotografico
Il 30 settembre 1955 si schiantava. A soli 24 anni, finiva la vita terrena di James Dean, iniziava quella del mito. Ricordarlo a 60 anni esatti dalla scomparsa non è un dovere ma è un piacere, perché dopo di lui nessuno ne ha eguagliato la simbologia dell’eterno ribelle smarrito in un vuoto che non capiva e che non lo capiva. Tre i film, infinita l’eredità iconologica che avrebbe lasciato alle generazioni future, incluse quelle 2.0.
Tutto accadde nel fatidico 1955: prima è il protagonista voluto da Elia Kazan in East of Eden (La valle dell’Eden) tratto da Steinbeck, poi è chiamato da Nicholas Ray a girare l’emblematico e definito “la grande tragedia greca americana” Rebel Without A Cause (Gioventù bruciata) ed infine gira Il Gigante per George Stevens, lasciato incompiuto per la morte improvvisa. Tutto qui quanto questo ragazzo provinciale dell’Indiana ci ha lasciato, cioè moltissimo. Solo la collega accomunata da tragica scomparsa Marilyn Monroe vanta un’incidenza mediatico/mitologica di simile resistenza nel tempo quanto lui.
La sua immagine, i suoi occhi, la sua postura parlavano e parlano per James “Jimmy” Dean ed è proprio su tale immagine che fa perno il film LIFE di imminente uscita l’8 ottobre, ovvero a una settimana dal sessantesimo anniversario. Il film è diretto dal fotografo/cineasta olandese Anton Corbijn e racconta del fondamentale incontro fra Dean e il giovane fotografo del magazine LIFE, Dennis Stock: ça va sans dire era il 1955 e Jimmy aveva concluso le riprese con Kazan preparandosi al ruolo di Jim Stark di Gioventù bruciata.
In questo frangente i due poco più che ventenni s’incontrano, Dennis nota immediatamente lo sguardo “diverso” da tutti di Dean, simile solo, forse, a Marlon Brando. Stock lo convince a farsi fotografare, rubandogli alcuni scatti che diventeranno il suo testamento iconografico che oggi tutti conosciamo come l’emblema dell’America che stava mutando pelle. È bravo il regista Corbijn – il cui miglior film ad oggi era Control (2007) sul leader dei Joy Division Ian Curtis – a raccogliere il meta-sguardo offerto dal dispositivo cinematografico rispetto a quello fotografico. Le atmosfere ricreate dei quasi roaring Anni Cinquanta americani sono perfette, l’intesa tra i protagonisti Dane DeHaan (incredibilmente mimetico a James Dean) e Robert Pattinson (nei panni di Stock) è magnetica. Il film, presentato come evento speciale all’ultima Berlinale, è da vedere e gustare in ogni fotogramma.