di Giovanni Furfari*
Risulta ormai evidente come il legislatore e l’esecutivo usino la mano pesante con i lavoratori, le cui tutele stanno registrando negli ultimi tempi un annientamento senza precedenti. Lo stesso non può dirsi nei riguardi delle imprese. Anzi.
In questo contributo vorrei innanzitutto partire da quello che è il frutto di anni di attenta lettura delle relazioni di curatori fallimentari, quindi da un piccolo ma emblematico campione rispetto a quello che è il mare magnum del sommerso. Ebbene, da queste relazioni emerge una incidenza sempre maggiore del buco contributivo e fiscale creatosi nelle aziende dichiarate fallite: le corpose insinuazioni nei fallimenti formulate con riguardo ai crediti dell’Inps e dell’Agenzia delle Entrate dimostrano la massiccia, talora enorme evasione contributiva ed erariale di queste società.
Questa consistenza denota peraltro che tali aziende, per lungo tempo, non hanno rispettato le disposizioni di legge, e tuttavia mai – o troppo tardi – sono state sottoposte ad azioni di contrasto: è giocoforza, in questi casi, chiedersi come sia potuto accadere che gli organismi preposti non siano stati in grado di intervenire tempestivamente per impedire condotte fraudolente e lesive di questa portata. Ciò in ragione del fatto che le elusioni e le evasioni ben avrebbero potuto essere arginate tempestivamente, stante il fatto che i versamenti sono normalmente mensili.
Si ricorda che le omissioni (di versamenti ed anche di adeguati interventi) hanno effetti devastanti sui lavoratori (e sulle aziende che si comportano correttamente versando fino all’ultimo centesimo), nonché sulla collettività in generale.
Nel caso di evasione contributiva l’Inps supplisce alla mancata contribuzione riconoscendo ai lavoratori, per i quali i contributi non sono stati versati, l’equivalente dei contributi non pagati. Con riguardo all’evasione delle imposte queste – benché trattenute dalla busta paga del lavoratore – sono irrimediabilmente perse con grave danno, anche in questo caso, in capo alla collettività.
Con riguardo alla posizione dei lavoratori, questi recuperano dal fondo di Garanzia dell’Inps il Trattamento di Fine Rapporto e le ultime tre mensilità ma ove il loro credito sia superiore, in assenza (come quasi sempre) di attivo fallimentare, non recuperano null’altro.
In sostanza le aziende più scaltre e disinvolte non solo evadono contributi e tasse ma pongono a carico dell’Inps e sulle spalle dei contribuenti onesti (lavoratori e aziende) il doppio prezzo delle loro evasioni.
Dalla sintetica esposizione appena riportata, che ad avviso di chi scrive non appare collegata, se non in minima parte, alla crisi economica o al gravoso carico contributivo e fiscale (se le omissioni sono continue e perduranti negli anni è evidente che non si dovrebbe continuare a – o permettere di – stare sul mercato) il cittadino di buon senso si aspetterebbe dal legislatore un poderoso intervento diretto ad incrementare gli investimenti in questa direzione nonché, più in generale, gli organici degli uffici preposti alla vigilanza, con una maggiore e capillare presenza sul territorio.
Ma purtroppo non è così!
Infatti non solo nessun incremento di organico è stato disposto, ma con il decreto legislativo 14 settembre 2015, n° 149 è stato previsto l’accorpamento dei servizi ispettivi di Inps, Inail e Ministero del lavoro all’interno dell’Ispettorato Nazionale del lavoro con sede a Roma; di tale organismo vengono previste “un massimo di 80 sedi territoriali”; per quanto è dato comprendere, pertanto, avverrà la soppressione di alcune sedi territoriali, con evidente minore efficienza e minori possibilità di controlli.
Non siamo riusciti a sapere, spulciando documenti di fonte Inps, quanti controlli vengono effettuati in un anno in Lombardia dai circa 230 ispettori, di cui 83 circa a Milano.
Si può presumere davvero pochi.
E’ d’obbligo chiedersi come con un simile ridotto organico (in ambito regionale), nonostante la preparazione e l’informatizzazione del servizio, si possa combattere la piaga dell’evasione contributiva.
Appare paradossale che a fronte di un sistema previdenziale al collasso, con un tale e così preoccupante aumento della evasione contributiva, il legislatore non pensi, ad esempio, ad aumentare il termine prescrizionale dei contributi evasi (termine attualmente fissato in cinque anni) e non provveda ad incrementare investimenti ed organici. Rimane inerte.
Al contrario la riorganizzazione degli Uffici ispettivi e la costituzione di un’unica Agenzia poteva e doveva essere l’occasione per ampliare la pianta organica facendo grossi investimenti sia sul numero degli Ispettori sia sui sistemi informatici di controllo.
A tal proposito la Corte dei Conti ha segnalato con preoccupazione la riduzione dell’organico degli Ispettori del Lavoro di circa il 20% in cinque anni, con conseguente diminuzione del numero delle Ispezioni sul territorio.
Certamente il nuovo Ispettorato Nazionale, operativo dal gennaio 2016 e da istituirsi “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, nasce già monco e deficitario. Senza fondi per la formazione, per gli strumenti informatici (gli ispettori del Lavoro effettuano le verbalizzazioni ancora in forma cartacea!) e senza l’ampliamento delle competenze non può che esserci minor controllo sul territorio e quindi maggiore evasione.
Speculare rispetto a questa scelta di campo, non interventista e per certi aspetti tollerante verso il mondo dei datori di lavoro più disonesti, è quella di agire con consapevole dedizione per ridurre le tutele del posto di lavoro ed all’interno del luogo di lavoro sia con riguardo ai controlli che con riguardo alle mansioni.
Come se l’aumento del Pil, del fatturato aziendale e dell’occupazione sia direttamente proporzionale alla riduzione dei diritti dei soggetti più deboli, in spregio alle garanzie costituzionali, e non, tra le altre, al contrasto delle elusioni o evasioni che arrivano talora ad importi astronomici, a scapito degli onesti.
*Avvocato giuslavorista, socio Agi – Associazione Giuslavoristi Italiani – sin dalla costituzione dell’associazione. Ho scelto, in linea con la mia cultura e convinzione politica, di stare esclusivamente dalla parte di chi lavora (o vuole lavorare ma illegalmente gli viene impedito l’accesso al lavoro).
* Opero come legale di riferimento della Cgil di Milano e Cremona per la tutela dei diritti dei lavoratori – individuali e collettivi – e delle Organizzazioni sindacali sia in fase giudiziale sia con azioni di sostegno in ambito lavorativo e contrattuale.
Sono autore di numerose pubblicazioni su riviste specializzate. Vivo e ho studio a Milano.